tropicalismos - indice Siamo come ostriche che rinserrano i loro gusci all'approssimarsi dell'attacco diretto, 
ma che non sanno difendersi dal sordido verme che penetra il guscio più resistente. 
Siamo anche deformi, come lo sono loro, allorchè veniamo deposti 
fra due pietre e costretti a crescere lì.


William Carlos Williams.  La tecnica dell'immaginario
Piazza di.... CC2003
 Ogni mattina la piazza era là, bella nella sua vuotezza, di nuovo ancora vergine, libera, avvolta dall'aria fresca - se è possibile di questi tempi - che precede di poco lo spuntare del sole da dietro i due campanili della chiesa là in alto. 
     Fa bene vederla così la piazza. L'ampiezza di respiro che genera la sua visione mattutina e verginale è l'ampiezza del suo stesso respiro. Lo sa chi la osserva ogni giorno sostenere l'avido, estasiato, esponenziale, predatorio, distratto, riverente, superficiale, consumistico, appassionato ...alito di moltitudine globale che giunge sulle sue rive. Non lo sa chi la vede per un'unica volta nella sua vita.
     Lo sa chi ha la memoria del processo. 
Processo di fricamento/sfregamento/lambimento quotidiano. Lo sa chi è cosciente del progressivo riempimento della piazza e del parossistico formicolio che la estenuerà tutto il giorno e parte della notte. Lo sa chi la rivede ogni mattina e può prenderne forza prima di infilare il tunnel sub-metropolitano per andare a lavoro. E chi se ne avvolge mentre legge il giornale la mattina, chi vi trova forza e ispirazione per iniziare una giornata frenetica, chi gode della sua quiete, dell'ampio spazio di cielo che ritaglia, dei suoni ancora riconoscibili - del suo originario tappeto sonoro. 
     Lo sa chi la attraversa in punta di piedi come carezzandola perchè non si svegli troppo presto e troppo bruscamente.
 
     Inchiodata dalla sua petrosità di marmi e di architetture, prigioniera della sua statica bellezza, questa piazza opera la sua ineluttabile e narcissica vendetta costringendo visitatori da tutto il mondo ad arrivare fino a lei. E' così potente il richiamo della sua bellezza! Come una sirena essa sparge il suo canto in tutti gli angoli del mondo. E da tutti gli angoli del mondo arriva ogni giorno l'ondata del mercato del turismo mondiale che la strapazza, e che realizza insieme la sua condanna e la sua benedizione.
 
     Non aveva mai colto prima d'allora - prima di quei suoi quotidiani passaggi mattutini d'estate - che la sensazione di sofferenza empatica che provava per la piazza, che era il frutto di un'impropria identificazione con essa - ammirata e vilipesa allo stesso tempo - fosse invece una fonte di piccole gioie quotidiane di cui avrebbe potuto approfittare.
     Si era sempre soffermato soltanto sulla differenza tra le mattine virginali e i pomeriggi dissoluti, della sua piazza: di come fosse sua (e di se stessa) la mattina, e di come non gli appartenesse più (e non si appartenesse più)  via via che lo scorrere delle ore la comprometteva con tutti.
     Perciò il suo rapporto con lei disegnava un percorso di compimento negativo giornaliero: iniziava con le mattine piene di promesse di felicità e si concludeva ogni pomeriggio quando la trovava guastata dalle rapinerie coatte e continuate. 
     E il giorno dopo, tutto si ripeteva di nuovo. 
     Soffriva inoltre - ma questo era un dettaglio - di dover passare tra la folla fotografante, camminando ingobbito e zigzagante, un po' per cortesia e senso di ospitalità verso lo straniero, un po' per non finire in qualche scatto affrettato e maldestro.
     Oltretutto questa era diventata una sua ossessione immaginante: quando tornava ogni pomeriggio dal lavoro, per qualche minuto si sorprendeva in una fervida attività in cui elaborava strane storie legate agli album di fotografie di viaggio. All'inizio si limitava a ridere di se stesso all'idea che la sua immagine saltasse fuori magari scomposta (con un naso in primo piano o una smorfia di scusa) al momento del rituale, carico di aspettative e curiosità, che è il ritiro delle foto di viaggio quando ormai l'ex-turista è di nuovo avvolto nella quiete rassicurante della propria città. Immaginava di capitare nelle mani di qualche smazzatore di fotografie giapponese che magari si era fermato in qualche strada di Tokio a guardare i suoi bottini di viaggio, roso dalla curiosità ma senza lasciarlo trasparire; oppure, immaginava di finire (virtualmente) in una città della California e di venire gettato nel cestino della spazzatura magari dopo un'esclamazione di raccapriccio What is that?!
    E tutto finiva lì. 
     Ma col passare dei giorni cresceva questo lavorio immaginante, cresceva su se stesso come accade coi sogni ricorrenti che prendono spunto dalle "trame precedenti" per diventare scatole cinesi complicatissime in cui le vecchie epifanie vengono irrimediabilmente spiazzate da sempre nuove. 
      I suoi flash-over assumevano i contorni di veri e propri sequel: immaginava per esempio che un fortuito evento radunasse insieme tutti gli ex-turisti che avevano conservato nel loro album di foto quella in cui appariva lui. Immaginava che, insieme, questi si sarebbero appassionati in una caccia all'intruso (lui, nelle loro fotografie), e che presto o tardi l'avrebbero rintracciato. Aveva addirittura pensato alla creazione di un nuovo supereroe dei cartoni animati: l'uomo "intrappolato" nelle foto si animava quando qualcuno dei suoi "protetti" sparsi dovunque nel mondo, si trovava in difficoltà: usciva personificato dalla foto, svolgeva il suo compito salvatore, per ritornare di celluloide, con arrendevole tormento, una volta assolto il compito.
     Una nuova consapevolezza prese, però improvvisamente il posto delle sue vaneggianti trame. Una consapevolezza che divenne subito pratica virtuosa e soprattutto generosa di emozioni. Infatti, capì d'un tratto quale fosse il suo ruolo (e la sua fortuna) in quel processo. 
     Gli capitò un giorno, al botteghino dei biglietti, davanti ai tornelli della metropolitana: due ragazzi stranieri che lo precedevano chiedevano informazioni su come raggiungere la "sua piazza", proprio così. Senza neanche pensarci un istante si occupò di indicare loro la strada: bastava che lo seguissero, che scendessero alla sua stessa fermata e che di nuovo lo seguissero. Fu così che quel giorno percorse il tunnel submetropolitano insieme a quei ragazzi sconosciuti - un pò a distanza per non risultare invadente - in attesa di indicare loro quel luogo delle meraviglie per il quale avevano intrapreso il viaggio. Quel che avvenne poi fu la lezione d'arte più efficace alla quale avesse mai partecipato. I due rimasero a bocca aperta, estasiati dalla visione della piazza, non si parlavano più: naso in su con lo sguardo rivolto alla prospettiva in fuga verso l'alto sulle alzate della scalinata e poi su su fino ai campanili gemelli; muti, occhi spalancati, beati. 
     Quello dei ragazzi era lo stesso guardare e lo stesso sentire che lui provava nel guardare loro. Assistere in presa diretta a quella rivelazione doppia: la loro, di fronte alla piazza e la sua, di fronte alla loro, gli fece cambiare di colpo la mente, il cuore, lo sguardo. Era diventato nuovo. La sua pomeridiana-compromessa-piazza regalava estasi e, se ne si era capaci, doppie.

 
    Ciò che fece il nostro supereroe in tutti i suoi giorni seguenti non è così difficile da immaginare, no?
Piazza di... CC2003