Con tortas fritas cantaré bajo la lluvia...
Mi pais - Ruben Rada

lluvia

Nel pieno di un benessere onirico a svegliarla è il frastuono di un torrente in piena che sta per travolgere tutto e tutti: la pioggia. La pioggia???? La pioggia! Tanto attesa, tanto dimenticata, tanto benefica. La pioggia, dopo tre mesi di siccità... La pioggia. Sì, la pioggia. Finalmente la pioggia. Che cosa ripassa in fretta, come un copione vecchio quanto il mondo - il suo mondo - mentre prende atto dell'accadere del fenomeno che dal cielo svuota acqua sulla terra? Il gusto, la distensione, l'autentica gioia di una giornata bagnata dalla pioggia: questo pregusta con le papille del suo più intimo essere. Intanto scatta verso il terrazzo con un balzo tanto automatico quanto veloce: deve aiutare con la scopa il defluire dell'acqua nello scarico: ah il fresco dell'aria, il suono di questa liquida musica! Oggi banchettano i sensi: udito, tatto, odorato, vista, midolla... Oggi si va col figlio al piano più alto dell'edificio: si pesta con i piedi la scala a chiocciola che più in alto diventa di legno, si bisbiglia per non disturbare il portiere che vive lì, mentre si guarda l'acqua che batte forte, dappertutto, tutte le cose: batte la cupola della chiesa laggiù, batte la bandiera nazionale sventolante sul colle lassù. Si diffonde nella casa un odore di brodo di verdure esattamente come altrove e nello stesso istante - lo stesso odore, la stessa pioggia, la stessa violenza di questa, anche: pioggia orizzontale al terreno per la violenza del vento! La stessa quiete casalinga. Ecco che lo scrosciare intenso della pioggia la trascina fuori, sul terrazzo: sono le piante adesso a danzare - quella di lei è una danza concorde interiore - l'acqua le batte come tasti di un pianoforte e per tutta risposta queste ondeggiano in una serie di movenze tratte da ritmi tribali. Sembrano spossate, deliranti, in trance: come fanno a sopportare tutti quei colpi? Intanto i fiori di elicriso hanno chiuso in fretta tutti i loro petali come in una orazione scongiurante: per favore abbi pietà di noi! La kalanchoe perde tutte le sue piccole piantine-figlie abbarbicate precariamente sulle sue splendide e materne foglie: sono tutte in terra a formare un tappeto di palline-piante verde scuro. Il gelsomino del Capo ha scelto un giorno sfortunato per produrre una delle sue gardenie: eppure questo unico fiore sta aperto contro la pioggia con un orgoglio profumatissimo, latteo: ha forse da darle una lezione? Come può un solo fiore e sotto la pioggia, perdipiù, emanare tanta bianca fragranza? L'odore del brodo di verdure intanto, continua a congiurare contro la sua tranquillità emotiva. Se solo gli odori non fossero tanto evocativi! In realtà è grata a queste circostanze ambientali e sensoriali: tutto questo La compone, fa parte di lei, e ricordare le lontananze non gli ha mai procurato un dolore tanto forte da non poter essere sopportato, non gli ha mai procurato una tristezza che uccide. Non di elaborazione lunga del lutto si tratta, ma di elaborazione lunga (e come potrebbe essere altrimenti) di destino - elaborazione di destino, si ripete mentalmente. Gli odori, la pioggia, le divagazioni mentali, tutto concorda con questa elaborazione di destino. Lei ne è cosciente e, proprio così, felice. Oggi, un regalo del cielo: la pioggia. Oggi un banchetto per il corpo e per lo spirito: la pioggia. Oggi, epifanie, rivelazioni accecanti: la pioggia. "Con un fulmine morì il povero Egidio - il ragazzo che badava ai porci" dice di colpo la zia attraversando la sala da pranzo "fece la cosa stupida di ripararsi sotto il castagno durante un temporale. Non ho mai avuto paura dei temporali ma la faccenda di Egidio... tutto il paese era in subbuglio... il padre andava dietro la barella gridando 'Egidio mio!'... La nostra campagna per fortuna non era distante dal paese. Da allora quando Angelo ed io andavamo in campagna - forse proprio a causa di quel fatto e senza che questo, tuttavia, fosse mai rivelato - ogni volta che arrivavamo nei pressi del castagno, a lui, che prima parlava del più e del meno prendendo a calci i sassi del viottolo, man mano che ci avvicinavamo, gli montava un certo nervosismo; all'inizio, cominciavamo a cantare le canzonette con le quali Mussolini sponsorizzava le bellezze della vita contadina (iniziava allora lo spopolamento delle campagne e Mussolini cercava di scongiurarlo) poi, con le gambe al collo, era un attimo arrivare fino alla campagna dove nonno ci guardava stupito giungere con la lingua di fuori per la corsa. Non ci ha mai chiesto perché correvamo ogni volta, e noi non glielo abbiamo mai detto. Forse perché non lo dicevamo neanche a noi stessi che il castagneto ci faceva paura perché lì c'era stata la morte". Le piaceva ascoltare dalla zia questi improvvisi e rari ricordi. Le era grata ogni volta per avere la sensibilità di condividerli con lei e con suo figlio. "Mi piacerebbe tanto sentirla addosso" le grida il figlio dall'altra stanza, già con metà del corpo sotto la pioggia "fallo" gli dice lei "ti scatto delle foto". Non sapeva dire 'dove' fossero identici. Forse ci avrebbe messo tutta la vita per riuscire a dirlo. Perché dirlo sarebbe stato aver finalmente svelato (a se stessa) ciò che è così inerente a lei, ciò che è aderente a lei, ciò che è vero di lei. Vero e finalmente rivelato. Tutta la vita voleva impiegare per dirlo. Tante giornate di pioggia ancora: tanti stupori.

Roma, estate 2003/2004