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Che cos'è la sceneggiatura verbovisiva

Questa guida è concepita, oltre che come una breve introduzione teorica alle odierne metodologie progettuali del media-design, come una serie di nozioni pragmatiche miranti a favorire l'elaborazione di quegli spunti creativi che preludono alla progettazione multimediale vera e propria. Parliamo dunque di quella fase in cui cominciamo a mettere in forma un'idea, ovvero l'ipotesi di un soggetto audiovisivo o multimediale di massima che in seguito potrà tradursi in una dettagliata tabella di marcia (detta in gergo tecnico shooting-board o foglio macchina). In tale fase, siamo in genere impegnati nella raccolta di alcune informazioni preliminari, sia relative al tema prescelto o al contesto in cui intendiamo operare, sia alle nostre più intime risorse (associazioni d'idee, repertori mnemonici personali, mappe mentali).

Si tratta volta per volta di trovare, in sostanza, metodi specifici per utilizzare nel modo più efficace quelle rapide sequenze di parole e immagini che caratterizzano le nuove forme di comunicazione. Ma alcune indicazioni strategiche generali circa le procedure tipiche del design relative soprattutto alle tecniche di computer animation e post-produzione digitale possono risultare utili in molte occasioni, persino al di là di questa o quella applicazione particolare.

La mia convinzione è che per affrontare i nuovi media in modo creativo, ovvero con adeguati strumenti "metaoperativi", occorre non solo diventare esperti nell' effettivo uso pratico dei new media e impegnarsi in un continuo aggiornamento tecnico sulle più recenti applicazioni informatiche, ma occorre anche coltivare un'attitudine per la sintesi e una capacità di avvalersi delle straordinarie risorse del pensiero visivo e della comunicazione analogica. Occorre dunque una "plasticità neuronale" tipica dei bambini ma che nelle persone adulte richiede un costante allenamento per non essere sopraffatta da abitudini e pregiudizi, ovvero dagli schemi mentali più convenzionali e abusati, spesso riduttivamente focalizzati sui contenuti ideologici della comunicazione verbale.

Occorre, insomma, tenere in continuo esercizio le facoltà intuitive della mente, così da renderle sempre più capaci di configurare nuovi modelli di comportamento a partire da una migliore valutazione dei dati dell'esperienza sensoriale nei diversi contesti operativi. I metodi e i processi ideativi della Sceneggiatura verbovisiva  si rivelano a mio avviso un modo particolarmente efficace per potenziare e mantenere in forma la nostra  "immaginazione attiva" anche nell'ambito contrattuale delle relazioni interpersonali e dei nuovi ruoli professionali relativi all'odierno scenario produttivo.

Lo scopo pratico più immediato di queste metodologie e di questi esercizi è quello di consolidare ed espandere, ad esempio nel campo specifico della produzione televisiva, o in quello più generale della creazione di opere audiovisive e multimediali, le capacità propositive di ogni singolo operatore che intenda agire con un ruolo propriamente attivo in senso progettuale (non già, dunque, meramente "esecutivo") nell'ambito di tale contesto tecnologico.

L'ipotesi da me proposta riguarda la possibilità odierna di definire un nuovo campo d'intersezioni disciplinari, quello appunto della sceneggiatura verbovisiva: un orizzonte teorico e operativo che può apparire per taluni aspetti sostanzialmente inedito, soprattutto se visto in relazione alla rapida evoluzione delle tecnologie multimediali, ma che è stato pur sempre prefigurato, almeno nelle sulle sue fondamentali premesse culturali, dalle avanguardie artistiche del nostro secolo. In questa prospettiva, l'approccio creativo ai nuovi media non può che essere affrontato a partire da notazioni "audio-visuo-cinetiche" basate talora su una completa riformulazione delle metodologie tradizionali del design, nonché di quelle tecniche di sceneggiatura in larga misura ancora impostate, com'è noto, su sequenze narrative di matrice sostanzialmente letteraria.

L'ambito teorico di riferimento disciplinare è dunque per me quello che propongo di definire Sceneggiatura verbovisiva, tentando così di suggerire un possibile equivalente italiano in grado di tradurre il termine Storyboarding (usato anche da noi, in gergo, con ben chiare implicazioni pragmatiche e accezioni per lo più analoghe a quelle qui esaminate, ma pur sempre pienamente compreso, nelle sue molteplici sfumature semantiche, soltanto  nell'ambito della cultura anglosassone). Di cosa si tratta esattamente?

Sappiamo che sceneggiare un film significa suddividere il testo di un racconto  in scene, definire la specifica successione degli eventi da mettere in scena e i dialoghi tra i personaggi, indicare gli ambienti in cui si svolge la vicenda narrata, suggerire il tipo di atmosfera prevista per ogni ambientazione in termini di luci e colori dominati, nonché il tono emotivo che può essere evocato dalla colonna sonora (voci, musica, effetti acustici). Si può prevedere per ogni scena anche il tipo d'inquadratura, quindi la lunghezza focale dell'obiettivo, la posizione e i movimenti della macchina da presa (questi aspetti tecnici hanno importanti conseguenze sul piano espressivo in quanto indicano le posizioni percettive, i punti d'osservazione con cui lo spettatore sarà indotto ad identificarsi, ovvero l'angolo visuale da cui osservare gli eventi e in base al quale interpretare il significato delle scene). Sappiamo anche che, in molti casi, la sceneggiatura di un film consiste semplicemente in un testo scritto.

Ma oltre all'uso delle parole, per definire con precisione la composizione delle singole inquadrature può essere necessario ricorrere a disegni, fotomontaggi e modelli tridimensionali, ovvero a notazioni grafiche più o meno dettagliate. La sceneggiatura verbovisiva è appunto quel percorso ideativo che unisce parole e immagini (codici verbali e scritture visivo-analogiche), allo scopo di tradurre le mappe mentali di un autore in una specifica sequenza di segni.

La tesi da me proposta è che i nostri più comuni processi cognitivi siano già caratterizzati da questa unione dinamica di sequenze verbali e scene immaginate. Per cui la ricerca metodologica di strategie didattiche da applicare all'uso esplicito e consapevole dei processi di elaborazione creativa non può che oltrepassare l'ambito di un interesse specialistico. In altre parole, la sceneggiatura verbovisiva non è solo una disciplina legata ad una professione specifica, sia essa quella del regista o del videodesigner, né all'uso di determinate tecnologie, sebbene oggi la dimensione multimediale offra senza dubbio un contesto produttivo particolarmente adatto ad evidenziare la naturale capacità della nostra mente di costruire immagini e inventare storie. E ciò avviene proprio in quanto la tecnologia multimediale rende ora del tutto esplicite le modalità verbovisive e cinestetiche delle nostre operazioni mentali.

Ma il fatto che alcuni modelli elaborati dal cervello umano siano stati, per così dire, trasferiti su di un supporto esterno, sembra a volte far perdere di vista a quelle stesse persone che si trovano (e, probabilmente, sempre più si troveranno) alle prese con un computer per svolgere le principali attività quotidiane, che l' origine dei "programmi" e dei "sistemi operativi" informatici è appunto nella struttura dell'esperienza soggettiva, ovvero nei processi creativi che la mente usa per "inquadrare" la realtà e conferire ad essa un significato. I nuovi media comportano anche un'accelerazione dei processi comunicativi, per cui la sceneggiatura verbovisiva tende oggi ad abbandonare il paradigma letterario e ad occuparsi di quelle sequenze sempre più rapide di parole e immagini che mirano ad una sintesi efficace di messaggi a più livelli. Messaggi a forte impatto "estetico" tesi a ricondurre le astrazioni del codice linguistico alla determinatezza di un'esperienza sensorialmente basata.
 

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