La Critica

La scrittura come «icona originaria»

di Riccardo Santilli

«La scrittura è un’originaria e potentissima sinestesia. L’esperienza simultanea del vedere e del toccare. La sua manifestazione avviene nel corpo stesso e nel suo rapporto con le cose…»


Fotogramma dal film Racconti del Cuscino di Peter Greenaway

Secondo Freud, fin dall’istaurarsi della traccia mnestica, il sistema psichico opera avvalendosi di una “macchina” che egli cercherà di descrivere attraverso il dispositivo del notes magico (1). L’analogia tra questo apparecchio di scrittura e il sistema della percezione è qualcosa di più di un semplice espediente euristico. Freud parte dalla constatazione che nel nostro apparato psichico permane una traccia delle percezioni che si accostano a noi, che egli chiama traccia mnestica. La traccia mnestica, però, può essere serbata e, quindi, memorizzata, solo attraverso un mutamento permanente degli elementi del sistema. Tuttavia, la difficoltà che Freud riscontrava, consisteva nel pensare un sistema che avesse, al tempo stesso, la proprietà di serbare con fedeltà le modificazioni dei suoi elementi e la disponibilità ricettiva per accogliere nuove impressioni. Il notes magico è la tecnologia di supporto alla scrittura che offrirà la metafora per pensare un sistema capace di salvare la persistenza della traccia e la disponibilità sempre intatta della superficie ricevente o percettiva.

Il notes magico è una macchina per la scrittura con la quale molti di noi hanno giocato da bambini: è una tavoletta di cera o resina sopra la quale è posto un foglio composto da due strati. Lo strato superiore è un foglio di celluloide trasparente, lo strato inferiore è un foglio cerato sottile. Incidendo con una semplice punta acuminata, che ricorda i sistemi di scrittura più primitivi, si può praticare l’iscrizione sulla superficie di celluloide che copre la tavoletta di cera. I punti incisi saranno evidenziati dalla superficie inferiore della carta cerata sullo strato di cera, questi solchi saranno visibili come una scrittura sulla superficie della celluloide. Se si vuole cancellare lo scritto, basta staccare con un apposita asticella il foglio cerato dalla tavoletta di cera. Il notes magico è di nuovo vergine e pronto a ricevere nuove iscrizioni. A partire dalla descrizione di questo dispositivo, Freud può pensare in analogia l’apparato psichico. Il foglio di celluloide ha un carattere essenzialmente protettivo: se non ci fosse, il sottile foglio cerato verrebbe scalfito e strappato. Esso è l’equivalente del sistema Percezione-Coscienza, il quale opera in difesa degli eccitamenti troppo intensi, favorendo al sistema Preconscio il compito di ricezione degli stimoli.

L’analogia va però oltre la sola percezione. Bisogna anche rendere conto della persistenza della traccia e non solo della sua incisione. Ora, se noi separiamo la tavoletta di cera dalla carta cerata lo scritto si cancella, ed il sistema è di nuovo ricettivo. «Ma si può anche constatare che la traccia persistente dello scritto si conserva impressa sulla tavoletta di cera e con gli opportuni chiarimenti risulta ancora leggibile» e «questo è esattamente il modo in cui la funzione percettiva si compie secondo quanto ho già supposto del nostro apparato psichico. Lo strato che riceve gli eccitamenti, il sistema Preconscio, non forma nessuna traccia persistente: le fondazioni del ricordo si producono in altri sistemi supplementari.»(2). Nel nostro caso è la tavoletta di cera che, serbando una traccia dell’incisione, può essere paragonata all’Inconscio situato dietro il sistema Preconscio (foglio cerato).

Il notes magico è allora una macchina che offre una superficie di ricezione sempre disponibile e le tracce persistenti delle iscrizioni ricevute. Le esigenze esplicative freudiane sono in questo modo soddisfatte. La trasposizione analogica originaria è costituita nel meccanismo del notes magico, che istituisce il dato sensoriale nella tecnica di una scrittura psichica. Ma se il notes magico resta, in Freud, una metafora per comprendere la tecnologia del sistema percezione-memoria, noi possiamo individuare un suo equivalente in un elemento del nostro stesso organismo: la pelle.

La pelle non è il semplice rivestimento dell’organico, l’ultima membrana, ma come spazio del sensorio è il limite e l’apertura all’ambiente esterno ed ai transiti che esso propone. In un certo senso, il corpo non ha nella pelle il limite estremo, ma il suo inizio, visto che è proprio attraverso la pelle che si ri-taglia la forma del corpo.

Sebbene con alcune inevitabili differenze, il dispositivo che Freud cercava nel notes magico risiede proprio nella profondità della superficie cutanea. Il senso del tatto, situato sulla superficie della nostra pelle, affonda le sue radici nelle origini della nostra costituzione neurologica. La primissima sensazione evidenziata da un embrione è il tatto. Nel 1952 l’anatomista ed embriologo Davemport Hooker stabilì che all’età di sette settimane e mezzo il collo si piega da un lato se si carezzano con un pelo umano la bocca o le ali del naso. Inoltre, all’inizio dello sviluppo i sensi locali (quelli eccitati da un contatto immediato tattile, termico, pressorio o dolorifico) hanno la precedenza sui sensi distali, legati a stimoli meno diretti (udito e vista). È dimostrato che in molte specie l’ordine di maturazione dei quattro sistemi sensoriali è: 1) tatto, 2) cinestesico (coordinazione corporea e propriocezione), 3) olfatto e gusto, 4) udito, 5) vista. La pelle, i suoi strati e la sua sensibilità, rappresentano la superficie originaria di protezione/esposizione dell’organismo, lo spazio sul quale l’organismo subisce l’impressione del mondo esterno serbandone la traccia e, al tempo stesso, lo spazio sempre nuovo e disposto ad accogliere nuove stimolazioni.

Avanziamo allora un’ipotesi: la trasposizione analogica del senso nel segno, che Freud attribuisce alla scrittura psichica, è primariamente un’esperienza tattile. Le configurazioni sensoriali successive sarebbero un trasferimento dei pattern senso-motori generati dalle impressioni cutanee e cinestesiche. Ad esempio, la definizione dell’immagine può essere pensata come il risultato di un esplorazione tattile che scansiona, come tasselli di un mosaico, gli elementi visivi, riconfigurandoli in traccia e in segno, unificando così, in un solo gesto, in un solo schema senso-motorio, immagine e carne.

La sensazione può essere condivisa o comunicata, a partire da una trasposizione analogica, in un sistema digitale che si sviluppa nel cortocircuito tra codice e carne, sulla superficie della nostra pelle. Dato questo cortocircuito, non è nella voce che individueremo la prima codifica dell’organico, l’iniziale configurazione della sensorialità, ma nella tecnica della scrittura. Scrittura che in questo caso non è solo psichica ma, innanzi tutto, estetica.

La scrittura è un’originaria e potentissima sinestesia. L’esperienza simultanea del vedere e del toccare. La sua manifestazione avviene nel corpo stesso e nel suo rapporto con le cose. L’origine della scrittura va ricercata in un evento involontario che altera profondamente l’ecologia senso-motoria dell’organico. Due modalità sensoriali (vedere e toccare), sono esemplarmente e originariamente unificate in un’esperienza destabilizzante, dolorosa, ma anche intensamente eccitante: l’esperienza della ferita.

La ferita è l’esperienza di un trauma, di un taglio sulla pelle, che non separa solo i tessuti organici, ma anche il corpo dal mondo. La ferita apre alla possibilità di una realtà che non è solo esteriorità e adesione all’oggetto, ma anche interiorità della carne, principio di autonomia, definizione dell’organico e dei suoi confini epidermici. Nasce forse a seguito di questa eccitazione quel sistema di connessioni simboliche che costituiscono l’Io e la coscienza come entità “separate” ed autonome. L’Io è in un certo senso un Io-pelle.

Ma torniamo alla sinestesia tra vista e tatto. Nella ferita il vedere è un toccare mentre il toccare è trasposto nell’esperienza del vedere. La sensazione tattile si fa visiva attraverso la ferita, la quale non è un semplice segno del dolore, rinviante ad un dolore autentico che soltanto il ferito può provare. La ferita, l’esperienza pubblica del dolore, rappresenta per così dire la “sintassi e la grammatica” di un vissuto e di un sentire che si costituiscono e si estendono attraverso una manifestazione iconica e condivisa. La ferita è l’icona del dolore.

L’autentico segno esteriore di questa definizione della sfera delle sensazioni è rappresentato però dalla cicatrice. La cicatrice è il primo segno. Non più traccia di evento, di un’incisione (come la ferita), ma traccia di una traccia. Essa perde l’immediatezza del “contatto”, per instaurare grazie alla sua natura di doppio della traccia, il principio stesso del rinvio, il differimento di un tracciare che rinvia analogicamente ad un altro tracciare. La cicatrice segna così il passaggio dalla immediatezza del dolore, o della sensazione in genere, alla grammatica della sua memoria. Volendo stabilire un’analogia con il notes magico di Freud, la ferita è l’incisione sul foglio di celluloide, ma questo segno non è permanente.

Attraverso la cicatrice la ferita viene cancellata; tuttavia, proprio come in quel caso, questa cancellazione lascia delle tracce sulla superficie della nostra epidermide le quali non pregiudicano la possibilità di nuove incisioni. La pelle martoriata di cicatrici è una superficie di protezione e consapevolezza, che assorbe nella memoria di un segno epidermico il trauma della ferita. La rimozione della ferita che avviene attraverso l’iscrizione della cicatrice, prepara, mediante il nostro corpo, una tecnica analogica che descrive e, descrivendo, codifica la nostra sfera della sensazione.

Attraverso la cicatrice, lo spazio del sentire può instaurarsi mantenendo una doppia natura, soggettiva e intersoggettiva. L’organico trova l’eccitazione adeguata per operare la trasposizione analogica dell’aisthesis (il dolore) nel digitale (il gramma). Indispensabile alla trasposizione è, infatti, non solo un’interfaccia, ma anche una soluzione biologica, la cicatrice appunto, la scrittura cutanea attraverso la quale istituire una condivisione e una memoria delle sensazioni.

Tuttavia la cicatrice può operare la trasposizione analogica avvalendosi di una interfaccia organica: la pelle. La persistenza del sistema e con essa l’eccitazione e la mutazione sensoriale dell’apparato senso-motorio sono limitati al perdurare dell’organico e hanno termine con la sua decomposizione. La cicatrice sembra superiore alla voce, in quanto il suo messaggio è perennemente disposto ad altri, ed è fissato oltre la transitorietà del contesto, ma l’eccitazione che essa opera sull’organico risente dello stesso limite del linguaggio: l’estrema contingenza dell’interfaccia che lo supporta e, ancora più importante, la dipendenza dalla presenza del soggetto. Ciò significa che ogni trasposizione analogica dell’estetico nel digitale, unico modo di istituire un orizzonte di senso, trova un limite nella eccitabilità finita del soggetto che la supporta, vale a dire nella decomposizione dell’organico.

Affinché l’icona-cicatrice si costituisca oltre la decomposizione dell’organico, e la trasposizione analogica continui oltre questo limite naturale, è necessario che l’organico si conservi nell’inorganico, che l’eccitazione e la scrittura si facciano infinite.

La pelle si tramuta allora in pergamena. La tecnica della scrittura è il rappresentante e l’anello di congiunzione di questo passaggio, o meglio di questa estensione dell’organico nell’inorganico tecnicamente definito. La trasposizione analogica e l’eccitazione che ne è condizione non sono più una dimensione della soggettività. L’estensione dell’organico nell’inorganico attraverso l’introduzione di una interfaccia tecnologica che, di fatto, apre alla tecniche dello scrivere e all’arte come tecnica, è l’evento di una straordinaria estensione della sensibilità.

A questo punto la scrittura diviene l’origine della dimensione sensoriale e della sua definizione, un’origine che viene ben presto occultata nella molteplicità delle interfacce tecnologiche successive, le quali operano nelle forme più svariate la mutazione della sensorialità istituita dal gramma. La scrittura, o anche tecno-grafia, segue la traccia e la riconfigura in una memoria esterna al soggetto, presente effettuale e disponibile. Ma questa memoria esterna non va intesa in chiave platonica. La scrittura nelle sue estensioni tecnologiche non è un servile “doppio” della memoria e del pensiero. Essa non è il supporto di un senso temporaneamente “morto” che la voce e la lettura possono “rianimare”. Questo modo di intendere la scrittura, e la tecnica in genere, considera il fenomeno tecnologico come una sorta di “mummificazione” della sensorialità. Ma la tecnologia non è affatto “mummificazione” del senso, tanto meno coincide con la sua morte. Voce e lettura non rianimano alcun senso perché la morte del senso non è mai avvenuta.

Il senso origina e non muore o si conserva, nella tecnica. Non a caso, l’origine corporea della sensazione, definita dalla ferita e dalla cicatrice, può essere espressa solo “dopo” la sua configurazione tecno-grafica. La tecno-grafia instaura l’ecologia sensoriale tecnicamente definita e, con essa, apre alla possibilità virtualmente illimitata delle modalità di trasposizione analogica, con la conseguente “costituzione” della dimensione sensoriale.

Se l’essenza della trasposizione analogica è una sorta di capacità metaforica, la tecnologia istituisce la metafora, il senso, attraverso la sua stessa "morte". Forse la tecnica può essere considerata una sorta di chiasma tra vita, senso e morte. Forse i media altro non sono che una infinita capacità metaforica del nostro ecosistema sensoriale; una metafora tecnologicamente riproducibile. Da questo punto di vista la storia della tecnica e del corpo potrebbe essere letta, non tanto come la storia di un progetto di previsione, controllo e manipolazione della natura a partire dall’esperienza di un limite biologico, ma, più semplicemente e tautologicamente, come la storia dell’elaborazione di una sensorialità infinita capace di “sospendere” il circuito organico e di riprodursi oltre la presenza della vita stessa.

Roma, 9 Maggio 2003


Note

(1) S. Freud, Gesammelte Werke, Imago Publishing Co., London, 1940, vol., XIV, pg., 1.

(2) Op., cit., pgg., 5-6


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