La Critica

Karl Jaspers, Psicologia delle visioni del mondo. Una lettura

di Maurizio Grilli

 

Prefazione

Attraverso queste letture della Psicologia delle visioni del mondo di Karl Jaspers e in generale attraverso lo studio della filosofia cerchiamo di scoprire in noi, nel nostro spirito ciò che i filosofi intendevano con le loro parole. Fino a quando non interiorizziamo le affermazioni del filosofo, egli intende. Solo dopo che queste affermazioni generano, illuminano un mondo nel nostro spirito, il filosofo dice. Così dovremmo investire la maggior parte del tempo dedicato allo studio della filosofia in un confronto diretto con le parole del filosofo, perché solo attraverso le sue parole questo mondo può nascere in noi. Per questo le parole del filosofo, quando sono parole di filosofo, non sono sostituibili da una qualsiasi spiegazione di altri. Per questo vogliamo occuparci il più possibile con le parole di Karl Jaspers. Altri dati sono qui secondari. Immaginiamo di essere contemporanei di Jaspers. Gli faremmo domande del tipo "quando è nato Professor Jaspers?", "quando morirà?". Non ci chiederemmo chi lo ha influenzato, a quale scuola egli appartenga, quali correnti della filosofia e dell'arte ci siano attorno a lui, da quali opere sia composta la sua edizione completa, ecc. Nel nostro modo di averci a che fare, la filosofia ci parla da fenomeno contemporaneo, ha qualcosa di importante da dirci a prescindere dal tempo in cui è stata espressa. Così come ha avuto qualcosa da dire a molte generazioni precedenti. È una filosofia fuori dal tempo, ma proprio per questo paradossalmente sempre dentro il tempo, perché la forza dello spirito che l'ha generata riaccende altri spiriti e in questi la fa rivivere. Così, se ora ci trovassimo di fronte al filosofo Jaspers, staremmo a sentire le sue parole, ci faremmo guidare dalla grande energia che sempre le accompagnava. E vogliamo che sia così anche ora, come se Jaspers fosse ancora fra di noi. E se attraverso le sue parole cominciamo a cercare in noi nuovi mondi, allora saremo riusciti a farlo rivivere. Certo marginalmente capiterà di occuparsi di altre sue opere, dei suoi contemporanei o dei suoi predecessori, ma sempre a margine. Centrale rimane la nostra occupazione con i suoi pensieri espressi in questo libro.

Ciò che praticheremo qui è scienza umanistica[1], cioè un imparare, che non può fare a meno della partecipazione del nostro spirito. Il sapere che si conquista attraverso le scienze umanistiche non solo occupa il nostro spirito, ma anche lo amplifica. Ci sono molte interpretazioni della parola filosofia. Giorgio Colli ci insegna che Platone con la parola filosofia ha inteso un amore per una sapienza passata, la sapienza dei cosiddetti presocratici. Questi sapienti erano soliti tramandare il loro sapere oralmente. Lo scrivere di Platone, ci dice Colli, è una sorta di decadenza, perché cerca di salvare qualcosa, non sta essa stessa al centro. Allora che cosa intendiamo noi con la parola filosofia? La sapienza originaria, la testimonianza scritta di Platone o qualcos'altro? Immaginiamoci l'espressività della lingua come una piramide. Alla base c'è la quantità maggiore di lingua, quella che si usa per esprimere le cose più evidenti e usuali della realtà. Quelle con le quali trascorriamo più tempo e che ci occupano di più. Man mano che si scende ­ o che si sale ­ verso strati dell’accadere più rarefatti e meno percepibili normalmente, anche la lingua si fa più rara e sempre più carica di significato. Fino al punto in cui ­ al vertice della piramide ­ la percezione umana cosciente cessa e rimane il silenzio. Un silenzio dunque più significativo di ogni espressione linguistica. È questo che intendiamo noi con la parola filosofia. La lingua nei pressi del vertice della piramide, che nasce dalla tensione ad esprimere qualcosa che è al limite della facoltà percettiva e comprensiva dell'uomo e che è estremamente, profondamente reale.

Le parti scritte in caratteri più piccoli sono citazioni dall'opera di Jaspers. Le altre sono commenti miei. La traduzione dal tedesco del testo di Jaspers è mia. In nota metto sempre i riferimenti alla pagina da cui è tratto il testo.


:: Prima lettura

 

I. Introduzione

Che cos'è visione del mondo? Qualcosa di intero e qualcosa di universale. Se per esempio si trattasse del sapere: non un sapere tecnico speciale, ma il sapere come una unità, come cosmo. Ma visione del mondo non è solo un sapere. Essa si manifesta attraverso valutazioni, organizzazioni della vita, destino, la scala di valori che si è scelta. Oppure entrambe le cose in un altro modo di esprimersi: se parliamo di visioni del mondo, intendiamo idee, la dimensione ultima e totale dell'uomo sia soggettivamente come esperienza e forza e principi, che oggettivamente come mondo formato materialmente.

L'occuparsi del tutto viene chiamato filosofia. Perciò anche questo libro potrebbe definirsi filosofico. Si chiama però una "psicologia" delle visioni del mondo. Senza voler disquisire sui termini, vorrei fissare il senso di questa definizione attraverso alcune tesi, perchè attualmente la posizione della psicologia è ambigua ed incompleta:

Filosofia significa da sempre il tutto della conoscenza. Tutta la conoscenza è filosofica, nella misura in cui essa è collegata da innumerevoli fila al tutto. Il distacco di una sfera del sapere dall'universitas significa, nel momento in cui si verifica, la morte di questo sapere: al posto della conoscenza rimane tecnica e routine; al posto della formazione dello spirito, che nel contesto della conoscenza, mentre elabora scientificamente un particolare elemento, d'altra parte rimane però sempre orientato verso l'universale, si fanno posto uomini senza ogni formazione, che non possiedono e curano altro che ­ a volte eccellenti ­ strumenti. Questa tendenza è di fatto cominciata già da tanto tempo. Dal momento però in cui questa separazione si è verificata da entrambe le parti ­ i filosofi si sono curati altrettanto poco delle sfere della conoscenza concreta, quanto gli specialisti della scienza si sono occupati della universitas del conoscere ­ queste perdettero ciò che prima si chiamava filosofia. Così è forse caratteristico del mondo moderno, che i filosofi migliori non sono sempre i "filosofi", ma singoli inusitati specialisti della scienza. Se si può definire il migliore filosofo colui che in maggior misura è universale e concreto ­ senza essere meramente enciclopedico ­ e che assume in sè, comprende, esprime e contribuisce a formare in modo maggiore lo spirito contemporaneo, allora il migliore filosofo è oggi forse lo specialista scientifico, che sta per così dire con i piedi in una scienza, ma praticamente cerca ­ sempre concretamente ­ relazioni con ogni altro settore della conoscenza ed è in continuo rapporto di scambio con la realtà, nel modo in cui essa è presente corporalmente. Si potrebbe dare il caso che in questo antico senso della filosofia un economo nazionale, un filologo classico, uno storico, un matematico più di ogni altro meriti il nome di filosofo.

[...]

Ma la filosofia è sempre stata più di una pura contemplazione universale. Essa ha dato impulsi, ha formato scale di valori, ha dato all'uomo un senso ed un orientamento, gli ha dato il mondo in cui sentirsi protetto, in una parola gli ha dato: visione del mondo. La contemplazione universale non è ancora una visione del mondo. Vi si devono aggiungere gli impulsi che interessano l'uomo nella sua totalità e dalla sua totalità prendono spunto. I filosofi non sono stati solo contemplatori della realtà immobili e senza impegno, ma attori e creatori del mondo. Chiameremo questa filosofia filosofia profetica. Esse si distingue essenzialmente dalla contemplazione universale in quanto da visione del mondo, mostra senso e significato, mette in piedi valide tavole di valori come norme.

[...]

Chi pretende impulsi, chi vuole sapere che cosa è giusto, come stanno le cose, per cosa viviamo, come dobbiamo vivere, che cosa dobbiamo fare, chi vuole apprendere il senso del mondo, si rivolge invano alla contemplazione universale, anche se questa venisse chiamata filosofia. La contemplazione universale [...] non prende posizione, non vuole propagare qualcosa, come fa la filosofia profetica, essa dà a chi vuole senso di vita sassi al posto del pane, rimanda a se stessi coloro che si vogliono annettere, sottomettere, che vogliono essere discepoli.[2]

 

Jaspers distingue fra filosofia, filosofia profetica e psicologia. La prima cerca l'assoluto in modo contemplativo, la seconda si compromette con la realtà e si impegna per formarla, la terza mostra agli uomini per così dire la strada, sulla quale essi possano trovare il loro mondo.

Questa ripartizione è tipica in Jaspers. Egli distingue spesso fra
- un modo puramente contemplativo di avere a che fare con le cose
- un modo attivo, nel quale l'uomo si impegna per ottenere qualcosa di completo e definitivo
- un modo nel quale l'uomo si impegna, ma allo stesso tempo lascia la realtà libera di evolversi liberamente.

Anche nell'ambito di questa terza disposizione l'uomo vuole ottenere qualcosa di concreto, è però pronto a cambiare strada se un'alternativa si dimostra migliore e più adeguata.

Nel migliore dei casi egli [l'uomo che voglia imparare] può solo imparare ciò che gli possa servire da strumento. Come stanno le cose deve scoprirlo da solo attraverso esperienze personali. Una tale contemplazione la chiamo psicologia in contrapposizione alla filosofia profetica.[3]

 

La psicologia ha l'uomo come oggetto del suo studio. Essa vuola spiegare soprattutto la situazione concreta dell'uomo. Questo rimanda a ciò che solo un anno più tardi Martin Heidegger chiamerà Fundamentalontologie (ontologia fondamentale): un chiarimento di ciò che è l'uomo, prima di dedicarsi alle questioni capitali dell'assoluto. Quasi il desiderio di sapere come funzionino gli occhi e solo poi il tentativo di spiegare ciò che essi vedono.

 

Ciò che propriamente ci porta al porre domande, è l'esperienza della mobilità della propria visione del mondo. Facciamo tutti questa esperienza nelle conseguenze del nostro agire e pensare, nel conflitto con la realtà che nel succedere di fatto quasi sempre risulta diversa da come l'avevamo intesa [...]. Nel nostro rapporto con gli uomini e col mondo rileviamo contraddizioni, perché il nostro inconsapevole essere, desiderare e tendere differisce da ciò che avevamo voluto in modo consapevole. La nostra visione del mondo è una esperienza in continuo movimento per tutto il tempo in cui continuiamo a fare esperienze. Nel momento in cui il nostro mondo, la nostra realtà, in nostri obiettivi si fissano e diventano ovvi, o non abbiamo ancora fatto alcuna esperienza della possibilità di visione del mondo o ci siamo irrigiditi in un guscio[4] e non facciamo più alcuna esperienza. In entrambi i casi non ci sorprende più nulla; rimane solo il rifiutare o il riconoscere, non il dedicarsi e non il recepire; non ci sono più problemi, il mondo e diviso chiaramente in bene e in male, in vero e in falso, in giusto e in ingiusto; tutto diventa una questione di diritto ed è chiaro ed è poi anche una questione di potere. Non c'è interesse per la psicologia delle visioni del mondo, tranne forse che per una psicologia degli inganni e delle falsificazioni, e degli uomini che vengono sentiti come gli altri, gli estranei, i nemici. Al contrario nell'esperienza vitale lasciamo che il nostro io si espanda, si diffonda e poi rifluisca in sè. È una vita pulsante fatta di espansione e riflusso, di dedizione di sè e autoconservazione, di amore e solitudine, di confluenza e lotta, di risoluzione e contraddizione e fusione, di crollo e ricostruzione. Queste esperienze costituiscono le pietre miliari di ogni tentativo di una psicologia delle visioni del mondo.[5]

 

Nelle pagine seguenti Jaspers descrive e giustifica le fonti dalle quali egli ricava i dati per la costruzione dei suoi modelli. Fonte è in primo luogo la propria esperienza, durante la quale allo stesso tempo notiamo che le proprietà dell'uomo non sono qualcosa di fisso e dato una volta per tutte, ma elementi in continua evoluzione.

 

Questa fonte della propria esperienza immediata si espande, quando noi ricercando percorriamo il mondo, in un primo momento senza l'intenzione di raccogliere materiale per una psicologia delle visioni del mondo. Non accumuliamo materiale sistematicamente secondo regole come scienziati specialisti, ma conquistiamo visione nel calarci ovunque, in ogni situazione, in ogni cambiamento dell'esistenza di fatto, nel vivere in ogni elemento dell'esserci[6], p.es. come colui che diventa esperto in tutte le scienze una dopo l'altra.[7]

 

Se pratichiamo psicologia delle visioni del mondo, non possiamo percepire e poi ordinare le cose come se noi con queste non avessimo niente a che fare. Non possiamo infilare ciò che abbiamo imparato per così dire in uno zaino, che è certo presso di noi, ma all'esterno. Le cose che abbiamo recepito devono poter passarci attraverso, come se noi fossimo filtri. Il solo raccogliere dati e la loro elaborazione esteriore secondo metodi e regole fissi è tipico delle scienze naturali. Nelle scienze umanistiche[8], come la psicologia delle visioni del mondo, le cose devo passare attraverso di noi. Esse si chiamano infatti scienze umanistiche non solo perché vi vengono analizzati prodotti dello spirito, ma anche e soprattutto perché questi prodotti prima di tutto devono venire recepiti dal nostro spirito. Prodotti dello spirito rivivono e si esprimono ancora solo attraverso l'attività di un altro spirito.[9]

 

Hegel ha presentato una costruzione sistematica completa e unitaria, un sistema chiuso. Noi lo trasformiamo solo in una molteplicità di schemi che si incrociano. Hegel oggetivizza, vuole riconoscere il tutto. Noi soggettivizziamo, vogliamo solo l'uomo e nell'uomo vedere e comprendere il possibile. Hegel termina con il sapere assoluto, noi da questa sfera cominciamo e rimaniamo nell'assoluto non-sapere dell'essenziale. Hegel ha un metodo, noi nessuno che domini, ma una volta l'uno, una volta l'altro.[10]

 

Obiettivo della psicologia delle visioni del mondo è quello di porre l'attenzione su fenomeni. Essa non vuole determinare, ordinare, dare risposte definitive. Così Hegel in fin dei conti non è un orientamento importante, perché egli da risposte definitive e assume schemi fissi.

 

Per questa opera Hegel è stato importante, tuttavia gli insegnamenti decisivi per una psicologia delle visioni del mondo derivano dalle seguenti personalità:

1. Kant con la sua teoria delle idee è il creatore del pensiero che sta alla base di questa psicologia delle visioni del mondo. Una cosa che vale come il tutto o come esistenza, che può essere definito con parole quali idea, spirito, vita, sostanza, che è indimostrato ed indimostrabile, che si fa beffe di ogni formulazione, poiché ogni formulazione deve poi essere riveduta, che dunque non è una conditio sine qua non razionale, non un principio logico, ma un pensiero in perpetuo movimento e allo stesso tempo più di un pensiero. È il fondamento e lo scopo, nel quale sono riposte le formulazioni razionali di questo libro. [...]

2. Kierkegaard e Nietzsche [...]. In possesso dell'infinito orizzonte storico, che Hegel e la storiografia tedesca avevano reso visibile, entrambi [Kierkegaard e Nietzsche] vissero in opposizione interiore alla tentazione di essere soddisfatti nel contemplare questo orizzonte. L'importante per loro era la vita della individualità presente, l'"esistenza". [...] Entrambi furono anche nella loro produzione letteraria contro il sistema. I loro pensieri hanno la forma dell'aforisma e dell'essay. Ciò che in Kierkegaard e Nietzsche nasce con la veemenza di un'esperienza immediata e di una severità sacra, si è sviluppato nel XIX secolo come una riflessione letteraria sull'uomo e sulle cose umane. [...] Lo dobbiamo a loro, se si è conservata la mobilità dello spirito. Loro provocano, fanno sentire la bramosia del problema, rendono insicuri ed indirettamente mettono alla prova l'intera vita spirituale. Con loro l'uomo si versa addosso per così dire un acido, che o lo rende ricco di spirito e lo trasporta con se nella soluzione o lo conduce alla coscienza, al rinvigorimento, all'accettazione di una pur se minima "esistenza".

3. I lavori di sociologia religiosa e di politica di Max Weber contengono una sorta di analisi secondo i criteri della psicologia delle visioni del mondo che li rendono nuovi nei confronti dei precedenti, per il collegamento prima apparentemente impossibile fra ricerca concretamente storica e pensiero sistematico. La forza sistematicamente oggettivizzante che si esprime qui in frammenti e non si irrigidisce nel sistema è coniugata con una veemenza vitale, che altrimenti conosciamo solo in Kierkegaard e Nietzsche. [...] Il nostro deve essere un tentativo sistematico non casuistico. È una costruzione di tipi che a volte sono illustrati da esempi, ma non vengono dimostrati [...] noi non cerchiamo ciò che è frequente e nella media per il fatto che esso è frequente e nella media. Cerchiamo le figure specifiche anche se queste dovessero essere assai rare. Il nostro campo non è quello che vedremme, se noi per esempio analizzassimo 100 persone del nostro ambiente abituale, ma il materiale che risulta, se prendiamo in considerazione ciò che di particolare percepiamo nella nostra esperienza storica e interiore legata alla vita e al presente. [...] Per tutto ciò che esponiamo qui non c'è una "dimostrazione", come per tesi e asserzioni di fatto, ma l'evidenza della osservazione. [...] Nella presente esposizione una cosa è giusta se evidente e chiara Nulla viene dimostrato. Una cosa è falsa se oscura e non evidente [...] La questione della correttezza si fa attuale solamente se tali tipi di visione del mondo vengono analizzati empiricamente nei loro casi specifici. Nei confronti del caso isolato[11] ogni tipo è falso, è solo un metro che si adatta in parte solo grazie a limitazioni. [...] In questo libro non si tratta del caso isolato in sè.[12]

 

Jaspers si riferisce a modelli, che concretamente non esistono. È come se le proprietà umane venissero descritte singolarmente per renderle più visibili e chiare. Gli individui sono una possibilità infinita ed incatalogabile di combinazioni di queste proprietà. [visualizzazione figura 1]

 

Si procede, dove si sente che ci sono cose che hanno qualcosa in comune, che sono affini, dove troviamo un qualche tipo di relazione. Così si ordinano piccoli gruppi con una sistematicità intrinseca, senza che si sappia bene come siano nati. [...] Il processo va avanti, ma noi alla fine restiamo sempre con una mero catalogo un conteggio [...] Istintivamente ci rifiutiamo di elevare uno qualsiasi di questi schemi a sistema dominante. Ci accorgiamo che facendo così violenteremmo tutto. Che noi uccideremmo noi stessi ed altri che ci avessero seguito. [...] Nonostante tutta la fatica sistematica non arriviamo mai ad una conclusione, ma alla fine invece che un sistema reale otteniamo solo un catalogo. [...] Ciò che attira la nostra attenzione per la sua essenzialità, lo fissiamo, ci chiediamo dove sia giusto ordinarlo. In questo modo si fa largo un rapporto di scambio fra le nostre armature sistematiche e il nuovo materiale. [...] Alla domanda dove porti tutto questo ordine, quale sia il suo senso, secondo cosa sia ordinato non possiamo in un primo momento che rispondere: la dedizione per ogni materia particolare[13]

ci fa trovare un punto di vista ordinatore. Crediamo che nei nostri istinti ci guidino idee, che il nostro interesse in fondo non sia soggettivo e arbitrario. [...] Ogni sistematica da l'impressione di una linea retta, si pone come una unica fila, si chiude forse da linea unica in un cerchio. Ma le cose non stanno quasi mai così. Mentre la cosa è multidimensionale, si ordina in ogni momento in modo monodimensionale [...] Ma infine si rimane sempre più o meno legati a schemi spaziali mentre la cosa nei confronti di ogni per quanto complesso sistema di organi, dimensioni e luoghi è incommensurabile.[14][...]

In questo modo però l'uomo ci appare come l'infinito in persona, al quale appartengono tutte le forme o nel quale queste sono raffigurate potenzialmente. Allora tutti i tipi che dorvremo descrivere ordinatamente non sarebbero opzioni estreme per le quali l'uomo singolo si decide, ma disposizioni nelle quali egli si può eventualmente venire a trovare, ma che egli comprende tutte con la sua vita. Ogni uomo pervade tutto il cosmo delle visioni del mondo, ma la sua essenza è solita splendere più luminosamente in certi luoghi di questo cosmo ed essere invece appena percepibile in altri. [...] Parlare dell'unità non porta a nulla, dimostrarla è impossibile, confutarla è altrettanto impossibile. È un'idea, che per realizzarsi in un ordine sistematico, se cerchi di restare critica, deve essere una creazione oscillante  fra sistema e catalogo. [...] Se si ordina teoricamente e sistematicamente una cosa, inevitabilmente si creano schemi, altrimenti si rimane nell'aporia, si sente la mancanza di un veicolo atto a scoprire relazioni e lacune, si perde la possibilità di una visione d'insieme sul tutto, che fino a quel momento si è raggiunto. Ma ci sono molti ordini sistematici con i quali ci si può occupare di ogni oggetto. Ogni sistematica metterà in evidenza un qualcos'altro; ognuna ha ragione in qualche modo, ognuna ha torto nel momento in cui si dichiara come l'unica autorizzata. Per questo si farà bene ad avvicinarsi ad una cosa da tutti i possibili punti di vista sistematici, per portarne alla luce tutto il possibile.[15]

Così abbiamo il compito di essere sempre sistematici e ciononostante di provare a non lasciare che un sistema prenda il sopravvento [...] così non c'è il pericolo che il sistema prenda il posto della cosa.[16]

Senza una forma non c'è comprensione del particolare, d'altra parte una forma può descrivere sempre solo alcuni aspetti del particolare e non può mai dichiararsi come unica valida. In queste pagine Jaspers descrive il fenomeno secondo il quale l'uomo cerca di trovare una sistematica negli ordini e nei sistemi. E così si può vedere che p.es. gli schemi sono lineari, mentre i singoli individui multidimensionali. Oppure si può presupporre, che negli individui ci siano sempre non solo alcune, ma potenzialmente tutte le dimensioni, così che individui e cosmo sarebbero in questo la stessa cosa. Questa idea però rimarrà sempre indimostrabile.


BIBLIOGRAFIA

[Colli 2001]  Colli, Giorgio: La nascita della filosofia. ­ Adelphi : Milano, 2001.

[Jaspers 1990 Jaspers, Karl: Psichologie der Weltanschauungen. - Berlin, Heidelberg, New York : Springer, 1990.

NOTE

[1] Le scienze umanistiche si chiamano in tedesco Geisteswissenschaften (scienze dello spirito), termine molto più pregnante di quello italiano, perché contiene in se la denominazione di ciò che distingue essenzialmente le scienze umanistiche da quelle naturali: la loro origine nell'attività dello spirito (in tedesco Geist).

[2] Cfr. Jaspers 1990, S. 1-3.

[3] Cfr. Jaspers 1990, S. 3.

[4] Rendo con la parola guscio il termine tedesco Gehäuse, che racchiude in sè la componente semantica Haus(casa). Questa parola è, come vedremo, di grande importanza per il pensiero di Jaspers. Rappresenta una sorta di protezione nei confronti delle Grenzsituationen (situazioni estreme), stati di crisi esistenziale, a cui l'uomo non può porre rimedio. È nel movimento fra Gehäuse e Grenzsituationen che la Weltanschauung si evolve e cresce spiritualmente.

[5] Cfr. Jaspers 1990, S. 7-8.

[6] Traduco con esserci l'importante termine tedesco Dasein.

[7] Cfr. Jaspers 1990, S. 8.

[8] Per la traduzione del termine tedesco Geisteswissenschaft cfr. nota 1 dell'introduzione.

[9] Inoltre qui non vogliamo fare della storia. Non ci interessano qui gli influssi che Jaspers ha ricevuto e dato. Vogliamo pensare che Karl Jaspers sia fra di noi e ci comunichi direttamente i suoi pensieri. Non avrebbe molto senso chiedergli quando sia nato e quando  morirà.

[10] Cfr. Jaspers 1990, S. 12.

[11] Cfr. Jaspers 1990, S. 14.

[12] Cfr. Jaspers 1990, S. 15.

[13] Cfr. Jaspers 1990, S. 16.

[14] Cfr. Jaspers 1990, S. 17.

[15] Cfr. Jaspers 1990, S 18