La Critica

Intervista a Mario Costa

di Ida Gerosa(*)
 

Mario Costa è Professore di Estetica all'Università di Salerno e di «Metodologia della critica» all'Università di Napoli (I.U.O.). E' impegnato, da più di vent'anni, nella definizione di un'estetica dei media e, su questo tema, ha pubblicato un gran numero di saggi e di volumi in Italia e all'estero. Tra le sue pubblicazioni più recenti, tutte pubblicate presso Castelvecchi di Roma, Il sublime tecnologico, 1998; L'estetica della comunicazione, 1999; L'estetica dei media, 1999.

 

Il mezzo di lavoro

IDA GEROSA: Lei scrive che per capire l'estetica dei media "bisognerà innanzi tutto considerare le trasformazioni che i nuovi media hanno sollecitato e prodotto in quelli tradizionali". Questo è senz'altro vero perché è la base della comprensione. Lei, però, non pensa che a distanza di quasi vent'anni dall'inizio della ricerca nel campo della Computer art, sia tempo di ignorare il mezzo di lavoro, ormai sufficientemente conosciuto dalle giovani generazioni? Personalmente credo che per l'artista sia il momento di fare un lavoro approfondito di introspezione per riuscire a far emergere nell'opera l'essenza umana, e non più semplici accordi di forme e di colori, e che per il critico, per lo studioso sia tempo di considerare l'opera a sé stante, dimenticando la matrice di origine.

MARIO COSTA: Ciò che intendo dire è che c'è bisogno di una riconsiderazione generale delle avanguardie, le quali, a mio avviso, restano ancora sostanzialmente incomprese. La storia dell'arte del '900 può essere veramente intesa soltanto se la si consideri come un complesso, multiforme e vario, di perturbazioni nell'estetico provocate da tutto quanto è avvenuto nel campo dei media e dell'innovazione tecnologica. Non è poi possibile, come lei dice, "considerare l'opera a sé stante, dimenticando la matrice di origine" perché ogni "opera" è, innanzitutto, il prodotto del dispositivo che la ha posta in essere e che custodisce nella sua essenza.

Un'apertura mentale

IDA GEROSA: Sono d'accordo con lei nel dire che per capire il mondo dell'arte elettronica sia importante guardare i percorsi compiuti dai singoli artisti e cercare un comportamento globale degli artisti di tutto il mondo.

Penso però che per una maggiore comprensione, lo spettatore dovrebbe porsi davanti a quest'arte con uno spirito puro, con un'apertura mentale tale da accorgersi che le pareti dello spazio pittorico sono letteralmente esplose, per la non contemporaneità degli eventi e per la fine dell'esistenza di un rapporto diretto e sensibile con le cose, con la materia e le energie in essa contenute.

Lei è d'accordo con me quando dico che tutti quanti noi, sia operatori che spettatori dobbiamo, con urgenza, raggiungere un'armonia con la realtà? Che dobbiamo compiere un lavoro di demistificazione del mezzo e nel contempo far conoscere a fondo la mitologia della nostra epoca con quanto di positivo e quanto di negativo è in essa contenuto? Ma quale strategia attuare?

Certo sono nati e continueranno a nascere tanti interrogativi perché viene sradicata l'idea di ricondurre tutto allo stretto controllo dei sensi. Del resto c'è da ricordare che il corpo dell'uomo irradia continuamente segnali, quindi messaggi, e tutta la realtà diventa carica di messaggi, la materia si smaterializza e diventa messaggio. Dal concreto e tangibile si arriva ai flussi energetici e invisibili. Non resta quindi che trasmetterli sotto forma di immagini usando l'energia e lo "spazio esploso" del computer.

MARIO COSTA: Non sono solo le "pareti dello spazio pittorico" ad essere esplose, è, invece, la dimensione stessa dell'artistico, con tutto il suo tradizionale apparato di categorie estetiche, che è andata irrimediabilmente in pezzi. L'arte è veramente ormai «una cosa del passato», come già diceva Hegel; continuiamo ad amarla come ciò che è passato, ma il presente è tutta un'altra cosa. Oggi tutto va rifondato, non travestito.

Il "sistema dell'arte" sopravvive, più forte che mai, per ragioni di pura prassi. Esso è soltanto noioso e privo di interesse ma diventa insopportabile quando si accinge, come sta avvenendo, a far svolgere ai nuovi media il lavoro di quelli vecchi.

Immagine elettronica

IDA GEROSA: Lei scrive: «Esiste nell'arte contemporanea una situazione paradossale: mentre l'immagine, grazie alle risorse dell'elettronica e all'intervento di numerose altre tecnologie, si trova attualmente in una fase mai raggiunta di fascinazione e di splendore, e promette mutazioni straordinarie del suo apparire, l'arte figurativa, luogo storicamente privilegiato della ricerca sull'immagine, retrocede e si attarda in un iconismo artigiano che la tesi del "contrappeso" all'eccesso tecnologico non basta ovviamente a giustificare...".

«Queste restano (le immagini ndr), fino ad oggi, prevalentemente, di competenza del solo dominio tecnico/scientifico, senza che una sufficiente quantità di energia speculativa (di estetologi, critici, semiologi, storici dell'arte ...) le abbia ancora approfondite dal punto di vista estetico e filosofico; la diffidenza/ostilità degli artisti nei confronti dell'immagine elettronica, mentre sottrae a quest'ultima un patrimonio di esperienza e di inventiva, altrimenti disponibile, condanna gli attuali artigiani dell'immagine ad un ambito di progressiva e sempre più insignificante marginalità culturale».

[...] «Ed è così che, mentre in paesi come gli U.S.A., il Giappone o la Francia si va affermando un tipo di cultura basato su un uso esteso ed intensivo dell'immagine elettronica, qui da noi essa è accuratamente tenuta fuori dai "territori dell'arte" o, se minimamente in essi accolta, fraintesa e snaturata nella sua essenza».

Fatte da lei, queste affermazioni diventano un "manifesto".

Come dicevo, io lavoro, espongo, creo installazioni, faccio spettacoli, scrivo su tutte le riviste che me lo chiedono, ho la rubrica fissa di arte elettronica su MCmicrocomputer, faccio proiezioni/conferenze, ho un giornale web in Internet, dove, ovviamente, privilegio l'arte elettronica. Non riesco a fare di più (forse per trovare il tempo, dovrei vivere una seconda vita ...). Lei che cosa suggerisce si possa fare ancora per diffondere le sue e le mie idee, le sue affermazioni, per cambiare l'ottusa opposizione del mondo dell'arte?


MARIO COSTA: Non mi interessa molto diffondere le mie idee, mi interessa invece constatare che in esse, maturate molto tempo fa, andava emergendo la consapevolezza della oggettiva forza delle cose, quella forza che ora sta agendo e che finirà col trasformare un po' tutto.

Il Whitney Museum di New York ha acquistato dei "siti" di "web art" e li mostra in esclusiva. Le istituzioni dell' "arte contemporanea" sono chiamate ad una modifica profonda del loro essere, così come i ricercatori estetici di oggi hanno il compito, anche morale, di mettere in forma il nostro vero presente.

«No comment»

IDA GEROSA: Lei scrive ancora: «Mentre dovunque l'avvento della fotografia segnò una svolta nell'arte figurativa, questa crede ora di poter reagire all'immagine elettronica con un semplice e imbarazzato "no comment"».

«Non ci sarebbe difficile individuare i motivi della situazione descritta (il ruolo giocato dal mercato dell'arte, dalla situazione dell'industria nei singoli paesi, dai piani di sviluppo e di riconversione industriale nei singoli Stati ...) ed è quanto avremmo fatto se avessimo continuato a ritenere interessante, come per il passato, il punto di vista dell'ermeneutica sociologica».

«Ma attualmente ciò che più ci interessa è il piano delle modificazioni antropologiche che le nuove tecnologie dell'immagine, del suono, della spazialità, della memoria, della comunicazione ... inducono, e uno sguardo filosofico sul panorama che esse vanno configurando anche contro ogni ottusa "politica dello struzzo"».

Sono completamente, totalmente d'accordo con le sue affermazioni, anche se forse non dovrebbe essere molto importante fermarsi a considerare le reazioni dell'ambiente artistico perché in ogni caso si va ugualmente avanti, con pazienza, per la propria strada. Nonostante ciò esistono i presupposti perché io continui a rimanere esterrefatta dalla mancanza di apertura che spesso mi circonda.

Secondo lei, a parte le considerazioni sociali e di strategia artistico/economica, viviamo in un mondo di sordi, dove ognuno è chiuso nella propria sfera, dentro la quale parla, si ascolta, si compiace, insegue i propri obiettivi rigirandovi dentro?

MARIO COSTA: Il cambiamento, in fondo, non è mai piaciuto a nessuno; pensi alla forza dei "riti" che continuano a sopravvivere anche dopo la fine dei "miti" e del "significato". Il cambiamento non vuol dire solo rimessa in questione di statuti sociali e di ruoli di potere, vuol dire anche turbamento degli equilibri profondi raggiunti dalle persone.

La storia, anche nei suoi momenti rivoluzionari, è caratterizzata dalla resistenza al cambiamento; questo si fa strada faticosamente, mai per effetto della volontà degli uomini ma come risultato di eventi tecnologici di grande portata che instaurano e diffondono le loro fisiologie contaminandole, spesso, con altre vecchie e oggettivamente obsolete.

Il momento che stiamo vivendo è di quelli cosiddetti "epocali" e in esso anche gli aspetti drammatici vanno vissuti con la consapevolezza della loro ineluttabilità, ma c'è chi non riesce a farlo.

Una mutazione in atto

IDA GEROSA: Vorrei poter avere un approfondimento di alcuni suoi concetti che mi sembrano fondamentali per apprezzare, per capire la Computer art. Parlo dell'emancipazione da ogni matrice analogica, del dominio dell'energia, della luce, del mentale.

MARIO COSTA: Quelli che lei indica sono soltanto alcuni aspetti della mutazione che è in atto; essi si riferiscono alle immagini di sintesi e hanno prodotto una frattura radicale nella storia delle immagini e della loro produzione. L'olografia, la robotica assistita, l'intelligenza artificiale, la realtà virtuale, le reti..., così come, d'altra parte, la manipolazione genetica, le bio-tecnologie, i trapianti di organi, la clonazione..., ne introducono altri che qui non è possibile neanche accennare. E' il senso di tutto questo che l' "artista" deve oggi decifrare e tradurre sul piano estetico, ammesso che sia ancora possibile farlo.

Per quanto riguarda l'immagine sintetica, poiché è di questa che mi chiede, le dirò soltanto che nel 1982 ho scritto di essa che "non penetra più nel soggetto ma ne resta fuori e vive come un-epifanìa-ritratta-in-sè. La "simbiosi immagine/immaginario è rotta per sempre", e nel 1986 ho scritto ancora, tra l'altro, "Le immagini numeriche ... si presentano nella forma dell'essere-ritratto-in-sè. Qui le immagini ostentano un loro "essere in carne ed ossa", una loro "presenza" indipendente dal soggetto e dall'oggetto ... la "nuova immagine" non è più una "mimesi", una "rappresentazione", un' "impressione", un "derivato", una "traccia" ... non rimanda più ad un altro-da-sè cui riferirsi o da cui ricevere senso, ma si presenta come una nuova entità in sé oggettiva". Ora trovo queste cose ripetute continuamente da filosofi francesi o americani (lo struzzo estetologico italiano considera ancora tutto questo come poco filosofico), e questo mi conforta.

Il pericolo del «travestimento»

IDA GEROSA: Infine. Che cosa pensa delle mostre, degli eventi proposti oggi, sia dai musei che dai critici d'arte, rivolti più a stupire, sorprendere lo spettatore con opere che sembrano accattivanti, ma in realtà sono piuttosto lontane dall'arte?

Mi sembra che tutti cerchino di far apparire l'arte elettronica come un fenomeno da baraccone e nessuno o pochi la considerino per quello che è: un'arte in crescita, un'arte difficile (forse) ma portata avanti, da chi la fa, con convinzione, dedizione, certamente con consapevolezza.

Credo che tutti quelli che operano in questo senso abbiano studiato, approfondito, sviscerato la "materia" che stanno trattando, credo che tutti sappiano esattamente quello che stanno facendo, sia quelli che propongono opere "sorprendenti" per accontentare un mercato e una critica che ancora si deve formare, sia quelli che hanno lavorato e continuano a lavorare per creare una nuova estetica e per portarla ad essere un'arte che fa finalmente sentire il suo "battito del cuore".

MARIO COSTA: Il pericolo è, ancora e sempre, quello del travestimento. Il sistema dell'arte è disposto ad accogliere le nuove produzioni a patto che queste si uniformino alla sua logica arcaica e desueta. Un grande numero di "artisti" e di "critici" trova conveniente acconsentire e, invece di forzare le strutture a trasformarsi e ad adeguarsi al nuovo in quanto tale, forza il nuovo ad una logica che gli è estranea.

Il danno è, in sintesi, prodotto da due tipi di procedimenti:

a) quello che costringe i nuovi media a fare, come ho già detto, il lavoro di quelli vecchi, e che esibisce poetiche esaurite mettendole in opera con strumenti nuovi, e

b) quello che trasferisce nel campo delle pratiche artistiche tradizionalmente moderniste, delle suggestioni mimetiche ricavate dalla nuova estetica tecnologica.

Queste operazioni, che vengono scambiate dai più per il nuovo modo d'essere dell'arte, vanno smascherate e combattute perché più insinuanti e mistificanti di tutte le altre.

 

Roma, Settembre 2000



(*) Ndr: Il testo della presente intervista è tratto da un articolo dal titolo «Mario Costa» che Ida Gerosa ha pubbicato nel numero 208 (luglio / agosto 2000) della rivista MCmicrocomputer (Pluricom Srl., Roma). Per la lettura dell'intero articolo si rimanda dunque alla pubblicazione citata.

Ida Gerosa opera dagli anni '80 nell'ambito della Computer Art, ovvero di quelle ricerche espressive che si avvalgono specificamente dei nuovi media elettronici e digitali. Ma è anche attiva da tempo nel campo dell'informazione e del dibattito internazionale relativo alle innumerevoli problematiche estetiche legate all'espansione delle "arti elettroniche".
 
 

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