La Critica

Dell'impossibile compiutezza dell'essere

di Patrizia Ferri

La propensione all'incompiutezza eletta a paradigma nonché a ineluttabile destino dell'uomo contemporaneo, ovvero l'ontologia dell'approssimazione come desiderio impossibile che mantiene vivo quello scarto che apre alle possibilità anziché chiudere sul sistema, è la cifra della ricerca intellettuale ed umana di Pietro Barcellona. Una ricerca che si manifesta in una complessità che rispecchia la personalità poliedrica, l'irrequietezza intellettuale dell'autore e l'etica complessa della persona fuori da ogni schema precostituito, da ogni tentazione di automitografia, come riflessione radicale sul destino dell'individuo nella consapevolezza della precarietà del tutto, e sul senso del limite come soglia, attraversamento fluido che genera, suggerisce percorsi, sbocchi e ipotesi di mondi plausibili e praticabili: eludendo la chiusura dell'onnipotenza autoreferenziale la prospettiva relazionale da lui auspicata, un qualcosa che manifesta implicitamente una tangenza non intenzionale con il pensiero orientale, disinnesca i rapporti puramente funzionali producendo "senso comune", dando luogo a un vero e proprio "campo relazionale" di forze in cui far germogliare i semi di un rapporto risanante con noi stessi e gli altri esseri con i quali condividiamo questo fragile pianeta.

Dipinto di Pietro barcellona

Testo e figura sono tratti da Mario de Candia, Patrizia Ferri, Pietro Barcellona raccontato dai suoi amici, Collana di strumenti per l'arte contemporanea diretta da Simonetta Lux, Gangemi Editore, 2006

La pratica dell'extraterritorialità, dello sconfinamento e della contaminazione tra discipline si traduce pertanto in capacità di ristabilire margini tra verità e allucinazioni, realtà e virtualità con una costante interrogazione sul senso del presente, considerando l'ideologia moderna e post-moderna nelle loro degenerazioni come due facce di una stessa medaglia, nella crisi ormai dichiarata del modello occidentale come delle sue forme logico-razionalistiche che hanno "essenzialmente l'obiettivo di istituire gerarchie e poteri di uomini su altri uomini". La globalizzazione che "ha portato l'astrazione dentro la vita" promuove un modello comunicativo univoco che la appiattisce sul piano della mera sopravvivenza, analizza Barcellona nella sua riflessione sulle derive del moderno e i valori della cultura mediterranea. Definendosi "un critico non romantico della modernità" sottolinea come la sua angoscia stia nel rappresentare questo rifiuto senza nostalgia e come portatore consapevole di una posizione "scabrosa" e scomoda, controcorrente e di autentica avanguardia con la quale si misura costantemente. Prendendo atto dell'indeterminatezza problematica del mondo, indica come solo rispetto a plausibili strategie comportamentali sia possibile orientare l'esperienza in senso armonico e non caotico, come scarto costitutivo dell'autonomia individuale: il modello lascia spazio a un progetto etico e duraturo "di pace e di felicità" che si oppone all'indifferenza e al cinismo dilagante e che ha come centro la donna e l'uomo, che la supremazia mediatica ha espropriato dei loro rispettivi elementi di identificazione.

In Pietro Barcellona, singolare incarnazione errante-erotica-eretica, in virtù di una rarissima condizione di grazia naturale ed esemplare, convergono l'uomo e l'intellettuale nella capacità di connettere le riflessioni filosofiche con il tessuto dell'esistenza che significa poter pensare per concetti stando anche concretamente nella realtà, grazie ad una parte femminile indubbiamente piuttosto ben sviluppata, squisitamente analitica assolutamente notturna ed estrema.

Il tema del rapporto tra pensiero ed emozioni come sfida alla razionalità del logos, detta percorsi eccentrici, che comporta la scelta "di abbandonare il sentiero del giorno e inoltrarmi nel sentiero della notte sperando di non smarrirmi definitivamente. Il punto estremo è sempre quello con il quale bisogna misurarsi. Se un pensiero è estremo, radicalmente estremo, non è possibile cercare compromessi" perchè "paradossalmente la passione della vita affonda le sue radici nel sentiero della notte" affermazione che fa senz'altro luce sulla sua identità culturale e psichica.

L'esercizio intellettuale di Barcellona pur occupandosi tra le altre cose di diritto, interfacciandosi con i processi biografici e del vissuto, ha a che fare più che altro con il rovescio delle cose, con l'ombra in cui scorge il senso della libertà e della vita stessa che la luce abbagliante dei grandi sistemi culturali ha spesso rimosso: "...Non riesco separare, a distinguere il mio processo di pensiero dalla mia esperienza affettiva, dico affettiva in senso ampio, giacchè anche l'angoscia è un affetto...". La constatata perdita del senso della realtà va ristabilita attraverso la centralità del femminile originario come cardine della costituzione dell'io che avviene in prima istanza attraverso la fase di comunicazione pre-verbale tra madre e figlio, un'esperienza originaria e inaccessibile come "presa d'atto che l'altro è ancora altrove e che per mantenersi in vita bisogna aver accesso al simbolismo della parola, istitutiva allo stesso tempo dell'autonomia del pensiero (con possibilità dell'altrimenti) e di percezione della realtà come fine dell'onnipotenza sull'oggetto", scrive Barcellona in un suo recente epistolario. L'io barcelloniano è un sé emblematico, molteplice, un luogo di autonomia e libertà, della "coalescenza di empiria e trascendentale", come dinamica di un'essenza umana irriducibile ai semplici accadimenti biologici o alle vicende ambientali.

La pittura di Barcellona, nella messa in scena di una realtà esibita nei suoi simulacri deprivati e annichiliti nella gabbia di un'esistenza di convenzioni e di "passioni negate" che non lasciano scampo, muove da questi presupposti e in questo senso diventa il centro da cui si irradia il flusso vitale del suo universo cangiante che si sviluppa per contiguità: la pratica filosofica, giuridica, politica che parte dalla considerazione del "legame tra il formalismo, la ragione procedurale ed il funzionalismo anaffettivo" che Bruno Romano si sente di condividere, parte dalla "ricerca dell'originario esistenziale" come intuisce Marco Milli, dando vita a un progetto unitario che ha l'obiettivo di sondare la realtà "aprendo orizzonti sempre nuovi e indicando nuovi percorsi" nota Mario Bertin, e producendo interrogativi radicali. La sua capacità profetica ribadita spesso dai contributi di questo libro-ritratto, è sottolineata da Bruno Amoroso quando scrive che Barcellona continua "a predire con vent'anni di anticipo quello che sta accadendo oggi e che gli altri né oggi né domani si accorgono che sta accadendo". Una capacità che appunto non si ferma a una semplice diagnosi dei fatti e della storia, ma si proietta con uno slancio vitale verso il futuro, lo spazio del divenire e delle trasformazioni.

La coscienza dell'"insensatezza dell'universo porta alla formulazione della domanda sulla plausibilità dell'esistenza: l'enigma della volontà di vivere - scrive - nonostante tutto è, invece, il proprium dell'esperienza depositata nella storia dei popoli. L'enigma della volontà creatrice, della decisione che istituisce la continuità della vita, è invece il "buco nero" che traspare dalla forma in cui si realizza la socializzazione degli individui volontà e decisione, libertà e potere non sono mancanze da colmare, ma principi attivi e produttivi, energie da contenere e non mera assenza di norma (...) Le forme attuali sono forme che contengono (...) l'enigma di questa energia che tende continuamente a straripare per continuare a vivere.Ciò che il sistema non riesce a spiegare è l'eccezionalità dell'energia, la singolarità della "passione della vita."Quella di un intellettuale e di un uomo enigmatico per eccellenza" e, per Agostino Carrino "integralmente politico (...) nel senso migliore e nobile del termine, comprese quelle utopie (...) che spesso causano le sue disillusioni sugli uomini e le cose". Il modo di "intrecciare ricerca e politica" è uno degli aspetti che anche per Pietro Ingrao concorrono a farne un "diverso", un "eretico rispetto a quel panorama di forze intellettuali che tra gli anni '60 e '70 si accostano alla politica e al marxismo".

Il pensiero è pertanto una "terapia", un prendersi cura delle angoscie e delle passioni che ci tormentano perché consente di trasformarle riscattandole come possibilità di salvezza, un carattere che Salvatore Natoli constata come peculiare nella sua pittura dove "la vita appare nel segno della salvazione", un "tratto esistenziale di Barcellona teorico del diritto, uomo di cultura impegnato nella società e nella politica", che ha senz'altro affinità più che con l'esigenza dell'approdo, con il senso del viaggio come nota Giuseppe Benedetti, affrontato "in mare aperto e senza mappe, fascinato (...) dal mito dantesco di Ulisse" dove "il mare è la metafora dell'umanità". Come ogni avventuroso e intrepido attraversatore infatti, preferisce ragionare più che per assoluti, per relativi, per connessioni, tra tecnica e vita, logica e società, essere e divenire, a tal punto che "se fosse un architetto" scrive Roberto Esposito "Pietro costruirebbe (...) luoghi di unione e condivisione" per osteggiare la specializzazione, la settorializazione, ogni forma di specialismo e di divisione netta e gerarchica tra codici, campi operativi e linguaggi in un mondo costituito solo da funzioni. La fenomenologia del presente proposta da Barcellona si basa infatti, analizza Fabio Merlini "sul "metodo" non sistematico del dialogo (...) per una maggior attenzione allo scambio, alla possibilità di conseguire, collaborativamente, una migliore presa riflessiva sulle "cose che ci circondano". Un dialogo sostanziale, che peraltro egli instaura idealmente con una serie di pensatori nevralgici del Novecento, che esprime la necessità di poter definire i propri limiti e i propri concetti solo mettendo a rischio le proprie certezze.

Se il procedere del disincanto logora lo sguardo bisogna agire in senso "obliquo", coglie Luigi Benvenuti, il che "obbliga la riflessione filosofica a un salto che possa prescindere da qualsiasi logica identitaria; a uno sguardo complesso e tridimensionale" che coglie e comprende "il rapporto con la tragedia e l'esperienza di morte" accuratamente rimossa in una società dell'immagine che annulla spazio, tempo e linguaggio. Uno sguardo che racchiude nell'"osmosi tra vita ed opera" di cui parla Giuliana Stella "la cifra più profonda e inquietante", quella che manifesta senza rivelarlo il mistero Barcellona: sorta di identità multipla e insieme unitaria e coesa, una sorta di "Luther Blisset" in un corpo unico, ma non si tratta di una sindrome di personalità multipla, specifica Eugenio Ripepe, quanto "sia pure servendosi ogni volta del linguaggio, dei moduli espressivi, dei procedimenti propri dei diversi campi nei quali si muoveva con assoluta padronanza" si intravede appunto "innegabilmente una sua personalità unitaria e coerentissima (...) che muove i fili del tutto". La visione barcelloniana sospesa tra "universale e particolare (...) tra utopia e razionalità" scrive Giovanni Battista Ferri "tra teoria del diritto e interrogazione filosofica" da cui con un'attitudine chirurgica da "anatomopatologo (...) ritaglia quella realtà che egli indaga" restituendola "lacerata e quasi irriconoscibile, nei suoi linguaggi meno tranquillizzanti" sottolinea Giuseppe Cantarano. D'altronde per la "sua filosofia la realtà non può essere che visione" nota Emanuele Severino (da cui deriva la domanda della possibilità di un rapporto necessario con la verità che visione non sia). Una visione che scaturisce dall'itinerario di un pensiero molteplice che si dipana intorno agli interrogativi profondi e sconcertanti, agli enigmi irrisolti che tracciano il destino dell'individuo e che disegna un orizzonte comune dove la vera libertà, la conoscenza, la realizzazione di sé, l'apertura della mente e del cuore come strumenti di consapevolezza possano trovare spazio e significato. Una visione rivoluzionaria, autenticamente "contro" da cui in filigrana traspare tutta "la nostalgia dell'impossibile" come legge acutamente Vincenzo Vitiello, una nostalgia dell'impossibile compiutezza dell'essere, quella che si scorge nello sguardo inquieto, obliquo, "umano, troppo umano" di Pietro Barcellona.

Roma, Gennaio 2006