La Critica

Una nuova avventura del linguaggio

Intervista a Derrick De Kerckhove

di Simone Corami e Eleonora Diquattro

«Siamo qui perché crediamo nella Lunga Coda» esclama convinto uno dei tanti professionisti dell'informatica e delle tecnologie digitali intervenuti al Von Europe - Video On The Net conference 2007, evento dedicato alla riflessione sui new media e al mercato tecnologico, svoltosi a Roma il 26 e 27 settembre. Per un giorno la città eterna si trasforma in Roma Caput Media, come recita uno dei claim più ripetuti nella promozione dell'evento.

Tra le più consuete parole d'ordine - wireless e larghezza di banda - la novità forte è forse proprio questa cosiddetta "lunga coda": una teoria che viene dagli studi di Chris Anderson, oggi chief editor di Wired, la rivista di culto per gli internauti ed i businessmen, con alle spalle sette anni di lavoro nelle redazioni di The Economist fra Londra, Hong Kong e New York. La Long Tail evidenzia come il business del presente e del futuro sia basato sulla ricerca dei nuovi mercati di nicchia, sui servizi alle communities che si formano in Internet. La Long Tail permette una fioritura di generi e stili differenti e un'analoga fioritura di nicchie di pubblico che ruotano attorno ad essi. In questo modo si sancisce la fine della società di massa per nuovi modelli ancora tutti da verficare, lasciando un po' perplessi gli italiani che ancora vivono, per la maggior parte, di televisione generalista. In fondo non è una novità se pensiamo che Walter Benjamin aveva ipotizzato una società frammentata già nei suoi studi agli inizi del ventesimo secolo.

Di Lunga Coda e di molto altro parla anche Derrick De Kerckhove, ritenuto uno dei più autorevoli studiosi di new media al mondo, direttore del McLuhan Institute presso l'Università di Toronto.

«La teoria della Lunga Coda è davvero molto interessante, rappresenta il mondo che si sta trasformando. Se la televisione era il media applicato al modello industriale, oggi Internet si addice benissimo alla nuove realtà economiche, arrivando fino alla personalizzazione dei servizi. Quindi va ripensato tutto il marketing e soprattutto la pubblicità. Se prima il momento massimo era lo spot, con la sua logica interruttiva di un contenuto, oggi che i clienti stanno diventando produttori di contenuti questo non funziona più. Tra l'altro eliminando il problema delle distanze si favoriscono realtà con economie di business medio-piccoli, come l'Italia o il Canada».

In rete lavoriamo tutti ad una grande conoscenza comune, come un ipertesto senza confini. Ma c'è il rischio di non riconoscere più l'autore o addirittura l'individuo?

Non credo proprio. Se penso ai fenomeni dei Citizen Media, oppure a ciò che sta realizzando Larry Sanger, dopo Wikipedia, credo siamo lontani da questo. (Larry Sanger, il co-fondatore di Wikipedia, il progetto della libera enciclopedia on-line, insieme a Jimmy Wales, ha rinnegato la sua creatura e sta creando Citizendium, dove gli autori firmano i contenuti che inseriscono, cercando in questo modo di implementare la qualità del servizio, N.d.r.).

Il mondo è passato dalla cultura orale, alla scrittura, con una produzione individuale, con la necessità di fermare il pensiero sulla carta e di diventare autori. Quello è il momento che io chiamo l'inverso di Don Chisciotte.

Cosa intende con questo esempio?

Don Chisciotte leggendo i romanzi "interiorizza" il mondo dei libri, operando così una virtualizzazione del mondo dentro di sé. Poi quando esce dalla biblioteca "esteriorizza" tutto questo, confondendo i piani. Con la scrittura finisce la coscienza collettiva tipica dell'oralità ed inizia la coscienza di sé. Il terzo passo è stato la televisione, che è il vero medium di massa, con un potere enorme, vista la mancanza di interattività, un potere senza possibilità di risposta. A mio avviso la tv produce una vera coscienza collettiva, producendo un immaginario oggettivo. Il computer cambia tutto, ma lascia l'uomo in un forte isolamento, così internet è il passaggio successivo.

E oggi?

Viviamo in un modello che nessuno conosce ancora bene. Stiamo sperimentando.

Qualcuno parla di ritorno al Medio Evo, altri di nuove intelligenze collettive. Lei che ne pensa?

Non condivido nessuna delle due. Il mio amico Pierre Levy insiste su questo concetto delle intelligenze collettive, ma io credo che stiamo andando nell'era della connettività, dove quello che conta sono le relazioni fra noi ed il contesto che ci circonda. Dal computer ci si riappropria del potere, i media sono come una costruzione esterna del nostro cervello. Internet dà un accesso più veloce ai processi di formazione cognitiva, mentre il videogioco diventa un approccio fisico con lo schermo. Io sto scrivendo un libro che parla dell'immaginario oggettivo, è una storia degli schermi, dalla fotografia a Second Life, compreso quello del cellulare che è lo schermo più intimo. Il cellulare racchiude in sè tutta la storia della comunicazione.

Quindi la rete investe il corpo?

Certamente. Noi siamo proiettati. C'è la stessa reazione fra interno ed esterno del corpo, che è l'elettricità, c'è già questo scambio permanente. Tutte le cose che facciamo sono uno scambio o di elettricità biologica o di elettricità tecnica. Poi i limiti fra noi e l'esterno vengono sempre più a mancare, la pelle continua definire la mia presenza vicino alla tua, però l'aria non è più vuota, ora è piena di scambi. Siamo come pesci nell'acqua e non marionette nel teatro. L'artista forse lo capisce prima degli altri, praticando tutta l'interattività, che è una variazione sul tatto. Sto scrivendo un libro che si chiama "Il Punto di Essere", dove spiego che lo spazio è qualcosa di più fluido, che va molto più oltre rispetto a ciò che vedo. Oggi possiamo "sentire" oltre ciò che vediamo, possiamo sviluppare più che vedere. Questo è il grande salto in avanti.

Mi sembra che si proceda ad una critica del pensiero razionalista occidentale ed ad un recupero di quello orientale che vede l'essere umano nella sua unitarietà e non diviso tra mente e corpo. È corretto?

Certo. Ma c'è di più. La classificazione di Dewey, ma anche quelle di Diderot e D'Alembert dell'Encyclopédie, sono in crisi. Oggi la rivoluzione è il tag, che è una parte strutturale della rete. Con il Web 2.0 noi potremmo essere connessi con tutto. Qui si inserisce la ricerca sul punto di essere che si oppone al "Punto di Vista" introdotto, come sappiamo sul piano storico, nel Rinascimento.

È possibile che ci sia il rischio di conformismo all'interno della rete o nella sua fruizione?

Il rischio c'è ed è anche grande. Oggi è un momento decisivo per questo fattore. Anche perché è più facile creare fascismo con l'elettronica che con la carta stampata. La scrittura porta fuori la conoscenza e l'informazione, mentre nella rete tu sei immerso. Quando sei di fronte ad uno schermo tu deleghi una parte dei tuoi processi cognitivi, quindi diventa più difficile uscirne.

Questa investe anche la politica?

Mi viene in mente un esempio. Immaginiamo che Internet sia arrivata subito dopo l'Inquisizione spagnola. Sarebbe stato un disastro. A mio avviso Internet arriva in un momento in cui la maturazione della popolazione globale è abbastanza alta e pronta ad essumere una mentalità più aperta. Oggi è il momento giusto. Non perché ci sia una teleologia di questo fenomeno... Oggi l'emergere dell'intelligenza umana ha una tendenza a finalizzarsi al conseguimento del successo più che in termini puramente difensivi. L'ambiente rappresenta oggi la più grande sfida che abbiamo di fronte... e la storia ci mostra tutti i problemi che dobbiamo affrontare, dalle guerre di religioni alle altre crisi. Ma alla fine abbiamo la possibilità di superarli. Io credo in questa possibilità, credo che Internet resterà aperta, anche se il pericolo opposto esiste. Pensiamo a Bush e all'Iraq. È sato capace di mentire per fare le cose come voleva. Ha dichiarato guerra per un motivo inesistente, le famose armi di distruzione di massa, ma quando poi gli è stato chiesto dove fossero, lui non ha risposto alle domande. Tutto il lavoro della commissione per l'11 settembre non risponde a nessuna delle domande poste. Mi ricorda Caligola quando faceva finta di essere pazzo.

Bush è molto televisivo come filosofia mediatica?

Assolutamente, è un Berlusconi americano. La televisione ha creato l'uomo pubblico e politico, un'immagine che funziona bene e che dà l'apparenza di una coscienza collettiva, ma sono i reali contenuti ad essere poi nascosti...

Quello che si percepisce dalle parole del professore è che viviamo presso una soglia, entro la quale siamo già costretti a ripensare i nostri strumenti di indagine e critica. Ma usando le stesse parole di De Kerckhove siamo convinti che tutto questo faccia pur sempre parte della "grande avventura del linguaggio".

Roma, Ottobre 2007