La Critica

Il senso del luogo

di Luigi Ciorciolini
 

Il rapporto con lo spazio sta mutando. Lo spazio storico, tradizionale, "razionale" sta scomparendo. Lo spazio del presente-futuro sarà una combinazione dello spazio "reale" e di quello virtuale. I nostri movimenti forse saranno gli stessi, ma cambierà il modo di abitare, le relazioni tra interno ed esterno, l'uso degli oggetti. E questi saranno sempre più polifunzionali. Cambierà la nostra maniera di relazionarci con gli oggetti, così come la più generale relazione tra soggetto e oggetto, nonché quella tra oggetto e oggetto.

Se tutto si smaterializza anche gli oggetti cambieranno il loro statuto a cominciare dal significato del loro possesso. Essi saranno possedibili solo come immagine, come "tendenza di pensiero". Gli oggetti diventano vettori a reazione poetica. Splendida occasione per ragionare di nuovo sui rapporti tra le arti.

Questo è solo l'inizio delle riflessioni suscitate dai temi, fecondi e ricchi di spunti, che La Critica affronta qui nel suo primo numero. «La rete non è il mondo», certo. Rapporto tra realtà e attività cognitiva alla luce delle nuove tecnologie, certo. Rapporto tra reale e virtuale all'interno delle nuove inquadrature, certo. Cominciamo dal rapporto tra spazio fisico e percezione.

Luoghi, non luoghi, luoghi comuni, le aree spaziali dove la percezione diveniva esperienza. Luoghi reali e spazi metaforici. Prendiamo, ad esempio, il caso di Roma.

In occasione dei mondiali di calcio la via Olimpica è stata collegata alla Tangenziale, realizzando così una arteria di scorrimento veloce che collega lo stadio Olimpico al quartiere San Giovanni. Si può ora attraversare Roma da Nord a Sud in circa venti minuti. Questa accelerazione degli spostamenti modifica profondamente il nostro rapporto con la città: se da una parte consente di "possedere" la città rendendo più fruibili parti di essa, dall'altra impedisce una forma di conoscenza più approfondita dei quartieri appena sfiorati in velocità. Su questi non può che posarsi uno "sguardo leggero" per il quale gli unici punti di riferimento e di orientamento sono i cartelli segnaletici. Non si sviluppa più il processo iniziatico di conoscenza dei singoli quartieri, con la conseguente mappatura mentale degli edifici e delle piazze, ma anche delle edicole, dei cinema... che facevano il "conoscere la strada".

Questo cambiamento nel rapporto con la città e nella sua percezione si inserisce nel più vasto cambiamento che è quello della rottura del rapporto tra centro e periferia. Questa rottura ha portato alla crescita della città come somma di quartieri che si aggiungono uno all'altro. Allo spaesamento determinato dalla dissoluzione di questo rapporto polarizzante, anche per l'atteggiamento culturale nei confronti del centro, si tende a offrire un sistema di "conferme" che tende ad annullare le "specificità" dei quartieri.

C'è un curioso parallelo tra quanto sta avvenendo nel cambiamento della percezione urbana e la diversa percezione del mondo che ci viene offerta dalla televisione, monitor riquadrante i fatti prima del monitor della realtà di rete. Grazie alle nuove tecnologie, la televisione ci consente di collegarci in diretta con le varie parti del mondo e assistere agli incendi in Amazzonia, alla guerra in Bosnia e al bombardamento di Baghdad mentre accadono. Questa accelerazione della comunicazione ha modificato la percezione dell'ambiente nel quale viviamo dandoci una differente coscienza dello stesso. Si tratta per esempio di una nuova coscienza ecologica derivata, letteralmente, da una "visione d'insieme" dei problemi del nostro pianeta. Oggi sappiamo che bruciando la foresta amazzonica si possono provocare turbative nell'atmosfera del pianeta, tali da influire sulla siccità nel Sahel africano. La teoria delle catastrofi viene così divulgata senza che ne vengano però studiati i presupposti e le conseguenze.

Le fibre ottiche consentono, penetrando il corpo umano, di vedere ciò che solo un iniziato da anni di studio (il medico specializzato) abitualmente vedeva. La massima accelerazione del processo d'informazione, nonché l'accentuata dissoluzione dei legami culturali precedenti, operano una profonda mutazione del paradigma culturale nel quale siamo vissuti. Il mutamento di prospettiva comporta la negazione del sapere iniziatico dove il progresso qualitativo seguiva l'aumento quantitativo (per non parlare del talento); l'accelerazione, con la sua realtà fatta di un continuum di «qui ed ora», nega ciò che è successo ieri e l'altroieri, nega cioè la memoria, base stessa della coscienza individuale.

Noi non abitiamo il mondo, ma sempre e solo la descrizione del mondo. Dalla nascita ognuno di noi impara il senso delle cose dalla descrizione delle cose che ci hanno fatto quanti preposti alla nostra educazione. Apprendere significa incorporare la descrizione del mondo comune che ci consente di trattare le cose in maniera abbastanza simile agli altri. Il monitor oggi si propone come ambiente totale offrendoci la più estesa e completa descrizione del mondo. Ma nel farlo ne modifica la percezione e descrive un mondo che non c'è se non nella sua descrizione.

Ecco che si spiega, almeno in parte, l'insistenza con cui la nostra epoca si interroga sulla percezione del reale e sui processi conoscitivi. Se tutto muta, se individuarsi significa ridefinirsi continuamente, il vero problema non è più il cambiamento, ma come assicurare l'unità e la continuità della storia individuale. Che cosa fa sì che io sia presente e riconoscibile a me stesso e agli altri, che cosa fa sì che io sia io in questo momento? La memoria del mio essere stato ed essere in un certo modo. E questa memoria individuale oggi viene ad essere rivalutata quando è proprio la storia collettiva a essere sempre meno garantita dalla solidità della tradizione. La storia viene infatti riletta in base a interpretazioni mutevoli che ripartono sempre dal presente e che la espongono al rischio dell'oblio.

Nelle società complesse a base multietnica (e la nostra città, spazio reale di interazioni, mantiene in scala le stesse caratteristiche dell'intero territorio nazionale) le nuove forme di disuguaglianza si manifestano come deprivazione culturale, come distruzione delle culture tradizionali sostituite solo dalla marginalità o dal consumo dipendente, con l'imposizione di modi di vita che non forniscono più agli individui le basi culturali per identificarsi.

A questo processo si risponde mettendo in atto una o più reti di rapporti mobili che possono coesistere tra loro e che danno una somma di risposte parziali al bisogno d'identità. Queste reti non possono essere considerate solo degli spazi privati, separati dalla vita civile, nonché privi di effetti sulla collettività. In realtà questi sono luoghi privilegiati in cui l'identità personale e sociale si forma in modo autonomo. Le motivazioni individuali nascono da un sociale più immediato, che non è la somma di individui isolati ma una struttura di relazioni capaci di produrre senso. Le reti provvisorie sono modi per partecipare e appartenere.

Ecco perché, a mio avviso, è necessario raccogliere l'invito di Enrico Cocuccioni, quando parla della «rete al centro di una nuova utopia estetica» ma, perché non resti solo un precetto euristico, è necessario che si sviluppino progetti concreti e reali, nei quali lavorare a più voci, prendendosi i rischi anche dell'insuccesso.

E qui, secondo me, si gioca davvero la partita, ovvero si delinea il campo di interesse su cui sto lavorando in questo periodo. La tecnologia offre nel concreto la possibilità di superare lo spazio inteso nella maniera razionale che abbiamo ereditato: possiamo superare la prospettiva anche come gabbia simbolica. Si può intervenire nello spazio reale per renderlo qualcos'altro. E questo qualcos'altro non può non essere frutto di un lavoro collettivo. Ma come ci viene ricordato con parole che si richiamano al pensiero di Heidegger «L'incontro con l'opera d'arte è l'incontro che segna l'origine stessa di un "mondo storico" e, quindi, il punto d'avvio di una possibile metamorfosi, di una trasformazione dei rapporti abituali con i nostri simili e con la realtà circostante nel suo insieme». E a questo aggiungerei che è proprio il processo di metamorfosi che mostra la qualità metafisica nel suo senso più pienamente etimologico. Ila ed Eco fuoriescono dal proprio corpo e con la Voce donano un nuovo senso spaziale al «luogo» a cui appartengono.

Questa oggi è la sfida: ridefinire lo spazio, i "luoghi" con altri sensi, con altri e diversi livelli di coscienza, trovare uno spazio che sia luogo mentale disegnabile e comunicabile mediante la Voce, che definisce il (suo) Genius Loci in base al testo comune. Sfruttiamo dunque le possibilità della tecnologia di rendere grande il luogo dell'esperienza e la stessa collettiva e dinamica.

Roma, Aprile 2000


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