La Critica

Arte elettronica, metamorfosi e metafore (*)

Intervista a Silvia Bordini

di Paola Capata

 

Silvia Bordini, docente d’arte contemporanea alla Sapienza di Roma, da anni si interessa all’interazione tra arte e nuove tecnologie. Nel 1995 pubblica il saggio Videoarte & Arte, Tracce per una storia, nel quale si legge: «la storia della Videoarte costituisce una chiave di lettura degli orientamenti estetici del moderno e del postmoderno; testimonia il profondo cambiamento nel rapporto tra l’artista, gli strumenti, l’opera e il pubblico ed evidenzia il grande interrogativo sui destini dell’arte nell’età dell’elettronica e dell’informatica».

La mostra «Arte elettronica, metamorfosi e metafore» da lei curata e conclusasi a Palazzo dei Diamanti di Ferrara il 5 settembre scorso, potrebbe essere considerata una naturale conseguenza del suo metodo storico-critico. La mostra ferrarese si è infatti rivelata una delle letture più puntuali e attente degli ultimi anni: da Paik a Vostell, da Viola a Caen, per arrivare ai giovanissimi Matteo Basilè ed Alessandro Gianvenuti, il percorso espositivo si snodava attraverso le sperimentazioni e le soluzioni di tre generazioni di artisti, al fine di fornire le coordinate per la giusta comprensione di una delle più importanti correnti artistiche internazionali.

D. Lei si occupa di arte elettronica da molti anni, e il suo libro VideoArte e Arte, è stato letto da molti studenti universitari dell’ultima generazione. Nell’ambiente universitario in realtà lei è tra i pochi studiosi a svolgere questo tipo di ricerca. A quando risale il suo interesse per l’arte elettronica e perché?

R. L’interesse risale ai primi anni ’90, quando in Italia il fenomeno iniziava a "prendere piede" come si suol dire e ad attirare l’attenzione anche degli addetti ai lavori. Da parte mia, ho sempre trovato l’arte elettronica una forma d’arte stimolante e in quegli anni ero particolarmente interessata alle sue molteplici articolazioni e allo studio della tecnologia come elemento intrinseco all’arte, non più limitata a semplice "mezzo tecnico".

D. Ricordo un suo corso sulla videoarte appunto, all’Università la Sapienza di Roma…nel ’97 mi sembra...

R. Si infatti…in quell’occasione tentavo appunto di tracciare un percorso evolutivo dell’arte elettronica. Il testo infatti si intitolava «Videoarte & Arte, tracce per una storia»…il fatto è che considero la didattica e la ricerca come le facce di una stessa medaglia, due aspetti fondamentali e strettamente connessi. E allora perché non proporre un corso di questo genere all’Università? Tra gli studenti infatti riscosse un grande successo…

D. Quella da lei curata è una delle prime rassegne di arte elettronica realizzate in Italia. Perché proprio a Ferrara?

R. Innanzitutto perché la città di Ferrara per più di vent’anni ha dimostrato un notevole interesse per questa forma artistica…non dimentichiamo l’attività del Centro Videoarte diretto da Lola Bonora dai primi anni ’70 alla metà dei ’90.

Il Centro oltre ad aver svolto una buona attività espositiva, grazie ai suoi laboratori, è stato in grado di ospitare gli artisti e produrre le loro opere. E’ stato sicuramente un elemento di punta nel panorama internazionale ed ha creato una tradizione importante per la videoarte. Oggi la città di Ferrara vorrebbe in un certo senso riallacciare i rapporti con questa tradizione, iniziare nuovamente a produrre arte, e la mostra a Palazzo dei Diamanti deve essere considerata come un punto di partenza, il segnale della volontà di ricominciare.

D. In mostra erano presenti artisti storici come Paik, Viola e Plessi, ma anche esponenti dell’ultima generazione come Basilè, Gianvenuti e Tubi..ci parli del criterio di selezione delle opere, come sono avvenute le scelte, soprattutto per i giovani?

R. Quella di Ferrara voleva essere una mostra storica, di conseguenza, com’è ovvio, ho cercato di selezionare artisti e opere che fossero tra i più rappresentativi per questo genere artistico…in realtà ne avrei voluti molti di più, ma si sa, non tutto si può realizzare...Ci sono comunque dei "classici" come The Greetings di Viola e Bombay Bombay di Plessi. Ho scelto di portare molti artisti italiani, perché, nonostante la mancanza d’interesse da parte delle istituzioni, trovo ce ne siano di veramente validi ed interessanti, come Plessi, Studio Azzurro, Gilardi e Mario Sasso. Di quest’ultimo all’esterno del Palazzo verrà allestita un’opera recentissima e spettacolare, la Torre delle Trilogie, prestata dal Gruppo Guzzini.

I giovani in questo contesto rappresentano la tendenza del quadro digitale, realizzato tramite il supporto del mezzo computerizzato…in certo senso sono un po’ l’ultima metamorfosi, perché se ci pensiamo, quello che viene prodotto è nuovamente un oggetto artistico immobile, un quadro appunto.

D. Dalla critica sociale-sociologica di Vostell alle sperimentazioni metalinguistiche di Paik, ai lavori ricercati, eleganti e densi di significati (riflessioni sui temi della vita e della morte, la storia dell’arte) di Bill Viola. Come è vissuto, secondo lei, nelle giovani generazioni artistiche l’insegnamento dell’arte elettronica? Chi realmente lavora con quei mezzi e guarda al suo passato storico?

R. L’arte elettronica richiede un forte impegno e una notevole capacità inventiva. I giovani dimostrano un forte interesse nei confronti dell’arte elettronica, ma non sembrano guardare a quel passato per le loro ricerche…guardano al presente e se rielaborano la tradizione, lo fanno con assoluta autonomia.

D. Lei ha visitato l’ultima Biennale di Venezia: se avesse potuto, cosa avrebbe scelto di portare nella mostra di Palazzo dei Diamanti?

R. A parte gli artisti "storici" come Gary Hill e Douglas, ho trovato interessanti le soluzioni degli artisti esposti alla fondazione Levi e del Padiglione Israeliano…tra i giovani artisti italiani mi è piaciuto il lavoro della Tesi, soprattutto per l’attenzione che dedica al supporto…trovo che gran parte del video odierno guardi molto alla pittura…pensiamo ad esempio a Liza May Post. Decisamente d’effetto, la "Casa provvisoria" di Eulaia Valldossera nel Padiglione Italia e la "Living room" di Charles Sandison all’Arsenale.

 

Roma, Settembre 2001



(*) Ndr: la presente intervista è stata raccolta nel mese di giugno 2001 da Paola Capata e già pubblicata sul sito Exibart.com, al seguente indirizzo: http://www.exibart.com/IDNotizia2784.htm. Il testo è qui riproposto integralmente - con la revisione e il consenso dell'autrice - per gentile concessione dell'editore.


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