La Critica

Frammenti critici dalla Biennale di Architettura 2014

Appunti e riflessioni sulle proposte di Rem Koohlaas

di Giuliana Paolucci

Mai come in questa edizione della Biennale d'Architettura è forte la tentazione della perplessità, perché ci si trova di fronte non a progetti architettonici o grandi architetti, come era stato in molte precedenti edizioni, ma piuttosto, a micronarrazioni e frammenti e, solo in seguito, solo come un emergere dal caos apparente, si percepisce che forse l'idea che ha guidato il curatore, Rem Koohlaas, è che l'architettura non coincida con gli architetti. È a prescindere. E si fa sempre più urgente il bisogno di confrontarsi con gli sviluppi futuri, partendo da un'accurata ricerca di quelli che sono considerati i fondamentali dell'architettura, partendo dall'origine, sia in senso sincronico sia in senso diacronico. Il suo, del resto, è sempre stato un lavoro sulla decomposizione, sulla valorizzazione del vuoto.

Più di trent’anni dopo la pubblicazione di Delirious New York, dove analizzava come in una sorta di sogno allucinato la città più d’ogni altra emblema della contemporaneità, che era riuscita nella sua congestione delirante a realizzare quello che l’idea di architettura modernista con le sue utopie non era riuscita a realizzare, dando vita ad edifici non meno interessanti di quelli usciti dalle accademie o dalle scuole di architettura, e soprattutto dando vita ad una vera e propria ideologia del fantastico, sempre più la questione centrale è posta dalla modernità e dai suoi paradossi.

Uno di questi è senz’altro rappresentato dal fatto che la modernità giunge al culmine quando c’è lo sviluppo ma, se in Occidente non c’è più sviluppo, questo significa che la modernità è transitata altrove, in Cina e in altri paesi. La pretesa dell’Occidente, di possedere le chiavi di un’architettura universale, se già nell’80, alla Biennale dal significativo titolo La presenza del passato, curata da Paolo Portoghesi, gli era sembrata imbarazzante, adesso si rivela in tutta la sua effettiva illusorietà.

Come egli stesso dichiara, in questa sua Biennale, l’architetto olandese si è preso tutto il tempo (più di quello solitamente concesso ad un direttore) per «poter recidere ogni collegamento con l’architettura contemporanea, in modo da esser libero di guardare alle storie per esplorare e mettere in luce l’attuale impasse dell’architettura»[1].

Così la mostra inizia nel cuore anche fisico di questa esposizione, al centro dei Giardini, in quello che era lo storico Padiglione Italia, È questo centro geografico che ospita la mostra: Fundamentals che analizza gli elementi fondamentali dell'architettura. Fin dall'inizio si capisce che la scomposizione necessaria e funzionale all'analisi dialoga continuamente con il passato e con il futuro in un fluire senza soluzione di continuità dall'uno all'altro.

Nello spazio ottagono centrale, siamo introdotti nel primo di una serie di ambienti, in cui si analizzano i 15 elementi fondamentali dell'architettura. Il primo è appunto il soffitto. Ci troviamo sotto ad un soffitto contemporaneo in cui a vista si leggono tutte le componenti nascoste che oggi costituiscono la parte nevralgica rappresentata dagli impianti. Ma il soffitto reale proprio del contenitore espositivo che tutto avvolge è la volta della cupola da poco ritornata alla visione degli spettatori [2] decorata da Plinio Nomellini e Galileo Chini, splendidi rappresentanti del Liberty italiano e di quella stagione a torto poco ricordata che ha dato vita ad opere e decorazioni assai interessanti. Così il viatico per il nostro percorso all'interno della Biennale ci viene dato proprio dal permanere sotto gli azzurri e gli ori che tanto dicono anche di Venezia stessa.

Il tempo

Nell'ultima pellicola di Christopher Nolan, Interstellar, come già nella sua precedente fatica, Inception, gran parte del fascino della vicenda è rappresentato dalla circolarità del tempo. Nel secondo film ciò è reso possibile nella dimensione onirica del sonno, attraverso la quale i protagonisti accedono a una dimensione altra e costruiscono infinite architetture di universi paralleli durante lo svolgersi del sogno. Nel primo film, invece, il mezzo in cui avviene tale percorso è lo spazio interstellare, che annulla le normali regole temporali e rende possibile viaggiare, non solo attraverso le galassie, ma anche di accorciare o dilatare il tempo, così che alla fine si intuisce che il fantasma da cui si origina il movimento del protagonista, portandolo a trovarsi nel posto decisivo nel momento giusto, non è altro che egli stesso in un tempo circolare, dove vengono sovvertite tutte le apparenti certezze cronologiche.

In questa Biennale dovunque si percepisce la possibilità di fluire continuamente dal passato al presente e alle ipotesi del futuro. Lo si percepisce all'interno della sezione Fundamentals, dove ogni elemento dialoga con il passato e si interroga sulle possibilità future, già preannunciate ed immaginate nel presente.

Lo si vede continuamente alle Corderie dove l'enorme Tavola Peutingeriana (una tavola del III secolo in cui Roma viene rappresentata al centro del mondo) si colloca come una cortina verticale e flessibile, attraverso la quale siamo costretti continuamente a passare, se vogliamo entrare o uscire per vedere la selezione operata per rappresentare uno spaccato della realtà italiana, scelta come emblematica di una nazione in bilico tra un enorme potenziale e una grandissima difficoltà ad emergere e a risolvere le proprie crisi.

Cinema

Il fil rouge di tutto il percorso, sia ai Giardini, specie nel Padiglione Centrale che ospita la sezione Elements of Architecture, sia all'Arsenale, dove si configura Monditalia, è il cinema, forse, il linguaggio che tra tutti quelli chiamati a dare il loro contributo in questa Biennale delle biennali, maggiormente si interseca con l'architettura. Così si guarda e si è allo stesso tempo guardati continuamente da immagini filmiche, nella prima sezione in modo estremamente ironico e divertente, attraverso il film Elements, che estrapola dalla storia della cinematografia sequenze che riguardano uno ad uno gli elementi dell'architettura: tetto, pavimento, pareti, scale ecc, in un sapiente montaggio che ci introduce e ci accompagna nel percorso espositivo.

Anche alle Corderie, in Monditalia, un lunghissimo corridoio parallelo snocciola i film più rappresentativi del cinema italiano. Attraverso le voci che si affastellano, e fotogrammi più o meno noti, veniamo assaliti da echi e suggestioni che contribuiscono a farci vedere il modo in cui la nostra nazione ha assorbito la modernità. Absorbing Modernity 1914-2014 è appunto l'argomento del contributo specifico che Rem Koolhaas ha chiesto alle partecipazioni nazionali. Ed è proprio nel carattere di ricerca che l'intera Biennale assume in questa edizione, che si configura la sua novità e la ricollega, come due tessere del domino, alla scorsa Biennale delle Arti Visive curata da Massimiliano Gioni, dove si avvertiva la stessa urgenza.

Archetipi architettonici

Preludio alla sezione Fundamentals è il modello in scala 1:1 della Maison Dom-Ino nel centenario della sua nascita. Il progetto che Le Corbusier aveva concepito nel 1914 per far fronte alla carenza di case in Europa negli anni precedenti la grande guerra, è stato realizzato utilizzando sistemi costruttivi contemporanei, ma utilizzando principi, misure e proporzioni del progetto originario. I principi generali della Maison costituiscono i presupposti ed i fondamentali per tutta l'architettura della modernità.

L'installazione che è stata concepita poi per essere smontata e rimontata in molte altre città del mondo, da Venezia a Londra, a Tokyo, realizza il progetto One to One Dom-Ino che, collocato nei Giardini prima dell'ingresso al Padiglione Centrale, risulta essere un archetipo architettonico della modernità e ricorda ai visitatori che «l'architettura opera sempre nello spazio creato dal contrasto tra l'architettura come la conosciamo e come dovrebbe divenire» [3].

Fundamentals

Nella parte dedicata all'analisi dettagliata dei 15 elementi ritenuti fondamentali dell'architettura è come se se ne effettuasse un analisi al microscopio. Ci si accorge che la loro evoluzione ha portato cambiamenti radicali che ne hanno mutato le capacità di rapportarsi e di interagire, creando spesso delle vere e proprie mutazioni, innescate dall'intensificarsi degli scambi globali, dai mutamenti climatici e dai nuovi scenari digitali. Nell'analisi delle porte, la sezione forse più impressionante è data dalla coesistenza, nello stesso spazio espositivo, da un lato di un sistema difensivo medioevale, il Castello di Hochosterwitz (sicurezza in 14 porte), in cui l'architetto aveva progettato un sistema di sicurezza basato sulla successione di quattordici porte, e dall'altro lato, dei varchi aeroportuali nei quali si effettua il check-in. Qui non possono non venire in mente i non-luoghi di Augé, ma soprattutto si preannunciano le nuove frontiere che ormai fanno parte del presente. Sistemi di sicurezza che forse scardineranno l'idea stessa di porta, immettendo nozioni e scenari inquietanti, se si pensa alla possibilità del controllo spazio-temporale di un individuo, lanciando contemporaneamente preoccupanti segnali sulla possibilità di non poter più vivere una sfera veramente privata.

Nella sezione dedicata ai camini, accanto alla ricostruzione di un camino di epoca vittoriana, si scorge un dispositivo molto simile ad un occhio. Si tratta di un termostato che ha raggiunto una sorta di consapevolezza, e si relaziona con gli abitanti dello spazio domestico nel quale viene collocato, elaborando informazioni sulle loro abitudini, alle quali adeguare il programma di riscaldamento. È abbastanza imbarazzante e fa pensare al Grande Fratello di Orwell o ad una telecamera che costantemente ci tiene in osservazione e ci studia, come nella grande famiglia televisiva di Fahrenheit 451 di Bradbury.

Fundamentals si propone insomma di mostrare l'evoluzione dei 15 fondamentali nelle diverse culture e società, portando alla luce spesso dei conflitti con la modernità, nonché come l'era digitale imponga loro di evolversi continuamente, proponendo di soddisfare livelli di controllo e sicurezza che a volte possono spaventare. È così che essi escono dal mutismo nel quale fino a pochi anni fa erano relegati e iniziano a dialogare esplicitamente con l'abitante degli spazi abitati. Raccolgono informazioni, le decodificano, a volte le interpretano e mettono in opera meccanismi e fenomeni di aggiustamento con tutte le conflittualità che questo comporta. È proprio di questo conflitto che parla il Padiglione francese, forse quello che in modo più sintetico è riuscito a descriverlo. Il conflitto espresso dallo slogan Modernity: promise or menace?

Nella frammentarietà imposta e suggerita dal titolo di questa Biennale e dal carattere di ricerca che tutto il lavoro ha assunto, il Padiglione francese colpisce per la sua visione unitaria e per l'idea centrale che occupa gran parte dello spazio. Il centro della sala è occupato dal plastico della Villa Arpel, la casa protagonista del film di Jacques Tati, Mon oncle, ideata da Lagrange per rappresentare il massimo del modernismo e della tecnologia. Sulle pareti vengono proiettate le sequenze della pellicola del '57 in cui gli elementi di modernità minacciano e creano effetti di comicità e di nonsense, immediatamente percepibili nel conflitto tra l'uomo e l'eccesso di tecnologia che impone a volte delle sfide a coloro che ne vivono a stretto contatto.

Sipari e Portali

Due portali hanno colpito la mia attenzione: il portale di Monditalia ed il portale del Padiglione Italia nello spazio pieno di echi e suggestioni delle Gaggiandre. Il primo è la rivisitazione bidimensionale delle facciate italiane, ma realizzato come l'ingresso luminoso ad un Luna Park. Domina il primo grande ambiente delle Corderie ed introduce alla grande esposizione, nella quale si è voluto dare un ritratto del nostro Paese utilizzando dei “casi” urbanistici ed architettonici che ne tracciassero uno spaccato da Nord a Sud, da Ovest a Est.

Ogni installazione è per questo preannunciata dalle sue coordinate geografiche di latitudine e longitudine, sia sul pavimento dell'Arsenale, sia nelle pagine del catalogo, e sono stati selezionati due film a completamento della spiegazione visiva ed evocativa del caso in questione.

Il secondo portale è stato realizzato invece come un cannocchiale, come un imbuto metallico attraverso il quale perfezionare la nostra visione prima di entrare a ispezionare la mostra del Padiglione Italia, mostra interessante sia per titolo, sia per il soggetto scelto, sia per i lavori esposti.

Tutta Monditalia è infatti concepita come un'unica macchina scenica in cui l'immenso sipario è dato dalla Tavola Peutingeriana, scenografia e collante ad una serie di frammenti. Ci aggiriamo così entrando e uscendo da una carta geografica usata come tenda, sipario che nasconde e mostra lo spettacolo che si consuma dietro il costruire.

Altro sipario racchiude e svela ed è quello del Gabinetto Segreto di Pompei.

A Pompei, con il rinvenimento attraverso i suoi scavi di immagini e oggetti a carattere sessuale e con il Gabinetto Segreto, è stato realizzato il primo museo destinato a far vedere ciò che non dovrebbe essere visto. «Con Pompei è arrivato il museo, ma anche il circo, il negozio d’antiquariato, il souvenir e il turismo, e con loro l’armadio, il box privato, l’armadietto segreto, la dark room, lo spioncino e il postribolo moderno. Le future città della lussuria, da Coney Island a Las Vegas, sarebbero ricreazioni capitalistiche di Pompei».[4]

Interessanti anche il caso di Cinecittà occupata, dove emerge la valenza del complesso architettonico realizzato durante il ventennio e ancora adesso capace di ospitare finzione e suscitare desiderio.

O la narrazione del caso Milano Marittima, Dancing Around Ghost-Milano Marittima's panem et circenses, che racconta di una città del desiderio che diviene ogni anno il palcoscenico di una danza macabra. Un paesaggio in cui le rovine architettoniche degli edifici dismessi ed invadenti e dei luoghi dell'intrattenimento ormai in disuso raccontano di decadenza e di storia evolutiva di una architettura che si esprime ormai nella fragile forma della tettoia, da quando la Discoteca si è trasferita, dai luoghi chiusi, nelle spiagge e nei luoghi aperti. Anche qui come già nel discorso sulla porta o sul camino arriviamo ad una sempre maggior riduzione degli elementi costitutivi, in questo caso delle pareti che diventano superflue.

Innesti / Grafting

È il titolo della mostra alla quale siamo introdotti attraverso Archimbuto nel nuovo Padiglione Italia, che riassume e in qualche modo costituisce la linea guida sul ruolo dell'architettura contemporanea e sul suo contributo specifico, che all'interno del nostro Paese ha rappresentato una peculiarità ed una cifra originale. Così come ci spiega lo stesso Cino Zucchi, che l'ha curata: «Se il funzionalismo del secolo scorso cercava il grado zero, il pensiero contemporaneo persegue nuovi fini e valori attraverso una metamorfosi delle strutture esistenti. Proprio questo appare il contributo originale della cultura progettuale del nostro paese nell’ultimo secolo: una ‘modernità anomala’, marcata dalla capacità di innovare e al contempo di interpretare gli stati precedenti. Non adattamenti formali a posteriori del nuovo rispetto all’esistente, ma piuttosto ‘innesti’ capaci di agire con efficacia e sensibilità in contesti urbani stratificati».

Innesto, insomma, inteso come una fusione capace di dare vita ad un individuo architettonico completamente nuovo senza rinunciare alla positività del già vissuto. Non come qualcosa che sigilla una rovina, ma come elemento che nel già esistente fa rifluire linfa nuova, dalla quale può nascere un organismo imprevedibilmente affascinante.

Roma, 5 Gennaio 2015


Note

[1]Rem KoolhasFundamentals. Catalogo della 14. Mostra Internazionale di Architettura, Biennale di Venezia, Marsilio, Venezia 2014, p.17.
[2] La cupola in precedenza non era visibile perché ricoperta dalla ristrutturazione pensata da Giò Ponti negli anni Trenta.
[3]Breett Steele, One-to-One Domino, in Fundamentals. op. cit., p. 184.
[4]Beatriz Preciado, Pompeii, the Secret Museum and the Sexopolitical Foundations on the Modern European Metropolis, in Fundamentals, op. cit., p. 376.